BARI - È visibilmente commosso Pasquale Loseto al ricordo di un «gigante» come Gigi Riva. «Il dono più prezioso che mi ha lasciato è la sua amicizia. Un valore inestimabile per un uomo riservato che decideva di aprirsi soltanto con chi gli dimostrava un’autentica lealtà. Basti pensare che il nostro legame nacque proprio durante Bari-Cagliari del 1969-70: e io certo non lo trattai bene…». Già, perché quella fu una gara passata alla storia: i biancorossi fermarono sullo 0-0 la formazione sarda destinata a conquistare l’unico tricolore della sua epopea. E al difensore barese, all’epoca 25enne, toccò proprio la marcatura di «Rombo di Tuono». Ed è qui che «Ualino» Loseto apre il suo libro dei ricordi.
Loseto, allora come nacque il rapporto con Riva?
«Il 21 dicembre 1969: faceva un freddo pazzesco e il Della Vittoria era pieno. Il Cagliari cominciava a scrivere la sua leggenda, noi eravamo in lotta per la salvezza. Mister Oronzo Pugliese mi affida la marcatura di Riva: avevo il pregio di non intimorirmi, ma mi toccava il migliore attaccante del mondo. Lo sanno tutti: mi arrangiai in ogni modo, lo “menai” dall’inizio alla fine, cercai di giocare sull’anticipo e sulla rapidità nel togliergli gli spazi perché non appena liberava quel suo sinistro, non ce n’era per nessuno. Pareggiammo 0-0 e mi aspettavo che lui si arrabbiasse…».
E invece…
«Durante il match non si ribellò ad alcun maltrattamento: si rialzava, ti stringeva la mano, continuava a lottare. E a fine partita si complimentò: da allora, siamo rimasti sempre in contatto. Alla gara di ritorno eravamo già retrocessi, il Cagliari vinse 2-0, Gigi segnò il primo gol e diventarono matematicamente campioni d’Italia. E lui mi regalò la sua maglia. Insistette perché io lo raggiungessi in Sardegna, ma al Bari approdò mister Lauro Toneatto che mi dichiarò incedibile. Negli anni a seguire è proseguito un legame di grande affetto, pur rispettando la sua riservatezza: quando era capo delegazione della Nazionale e gli azzurri venivano a Bari mi ha puntualmente invitato».
Che calciatore è stato Gigi Riva?
«Un fuoriclasse per ogni epoca. Un attaccante straordinario per forza fisica, potenza, generosità. Segnava in tutti i modi: con quel tiro pazzesco che si ritrovava, di testa, in acrobazia, in velocità. E poi era generoso: gli piaceva la sfida, si esaltava nelle difficoltà, non mollava mai. Non ne ho incontrato di più forti, non sono bravo con le graduatorie di questo tipo, ma di una cosa sono certo: non c’è calcio in cui Riva non avrebbe segnato caterve di reti».
Qual è la lezione più preziosa di Riva?
«L’amore per il calcio, l’orgoglio per i colori che rappresentava. Ha rifiutato ogni faraonica offerta dei grandi club per il “suo” Cagliari, si è procurato infortuni gravissimi per la Nazionale che amava profondamente e ha onorato anche da dirigente, proteggendo i calciatori azzurri come solo lui sapeva fare. Ho saputo quasi subito dell’ultimo malore, ma ero convinto che lo avrebbe superato. Perché Gigi è caduto tante volte, ma si è sempre rialzato. In questi giorni molti giovani avranno l’opportunità di conoscere la sua storia: spero che in un mondo spesso così avaro di valori, il suo esempio possa renderci migliori».