«Indimenticabile e storico». Antonio Matarrese appiccica l’etichetta al Mondiale 2022. Membro onorario di Fifa e Uefa, oltre che della Figc, il dirigente barese è in buona sostanza l’unico rappresentante del governo calcistico italiano in Qatar. «Un po’ mi sento in imbarazzo - racconta -. Il fatto che non ci sia la nostra Nazionale è il pezzo mancante di questo campionato. Qui a Doha ho colto una profonda amarezza, in particolare negli italiani che risiedono in questa parte del mondo. Credetemi, stordisce in modo violento. Io per rispetto al mio ruolo sono venuto qui per qualche giorno. Ma non è la stessa cosa».
Perché indimenticabile e storico?
«Perché è come vivere in un’altra dimensione. Ma è vero che qui si stanno giocando i Mondiali? Poi ti rendi conto che, sì, in effetti è così. Sembra paradossale. Stadi stupendi, costruiti bene, hanno speso una marea di soldi, gettando in questa avventura grande volontà, pur con i loro limiti e le grandi differenze. Se sei nel centro sembra New York. Spaziale».
Che c’entra l’aria condizionata negli stadi?
«È una forma di potenza economica, fanno vedere che possono fare tutto. Il Qatar non è un grande paese e si affaccia su un palcoscenico di un Mondiale. Il calcio è governato dai soldi. E qui c’è la massima espressione di forza economica. Qui ci si sente spettatori. Anche chi gioca probabilmente avverte la stessa sensazione. Tutto un po’ troppo spinto, in effetti».
È il Mondiale delle polemiche. Anzi, lo è stato fin dal giorno in cui la scelta ricadde sul Qatar.
«Credo che il calcio abbia un compito. Quello di aprire nuove strade. Perché non doveva giocarsi qui? Il calcio deve scoprire, lasciare segni, il pallone deve rotolare dappertutto. In fondo, non viviamo su una palla? Il sottoscritto fu uno degli artefici del Mondiale in Giappone e Corea. Ma lì sentivi un popolo che già aveva realizzato molte cose. Qui è come se partissero adesso... Il deserto lo vedi, lo senti».
Ma è anche un Mondiale di proteste in un Paese che non conosce il termine libertà esteso a tutti. Soprattutto alle donne. E la Fifa non ha fatto una bella figura negando la fascia arancione ai capitani delle Nazionali.
«Io dico che dobbiamo aiutarli a migliorare. Non dobbiamo abbandonare nessuno. Per noi vedere alcune cose è uno choc. Ma sono convinto che la missione del calcio sia anche quella di far capire che si può vivere in maniera migliore. Allo stadio ho visto anche donne che si sono divertite a vedere la partita Non può bastare, ovviamente. Ma dobbiamo trasmettere loro il coraggio e la forza di aprirsi. Fatemi passare il concetto, senza mischiare il sacro col profano. Ma anche il Papa va in giro per il mondo cercando di migliorare la società civile. Ci sono brutture, ma noi a che serviamo? Ad aiutarli a eliminare ciò che non va. Ecco, se il Mondiale non fosse atterrato da queste parti, certe cose non avrebbero avuto una eco così imponente. L’Iran non ha cantato l’inno. È stato un gesto d’impatto, ma aiuta tutti a capire cosa sta accadendo in quella parte del pianeta. Lo stanno dimostrando al mondo intero».
Prima sorpresa, l’Argentina che perde...
«Anche la mia Nazionale esordì negli Usa perdendo contro l’Eire. Poi arrivammo in finale e maledetti quei rigori. Credo che l’Argentina possa vincere il Mondiale, ma il calcio è questo ed un risultato del genere fa bene a tutto il movimento. Torno al discorso di prima. Il clamore che suscita il calcio, fa bene a tutti. Bisogna saper vedere e cogliere l’aspetto positivo. Le contraddizioni formano la storia del calcio».
Ma il Mondiale in inverno è cosa buona e giusta?
«Il mondiale in inverno è strano. Non lo avremmo mai pensato. Ma il calcio ha dimostrato di saper superare tutto con il tempo».