Ricostruzione “inattendibile”. Per i giudici della Corte d’Assise di Brindisi la verità di Giuseppe Ferrarese, unico imputato per l’omicidio di Giampiero Carvone, è in parte “smentita dalle risultanze istruttorie”, in parte “inverosimile” , “priva di concreti riscontri e “contraddittoria”. Per questo il 28enne brindisino è stato condannato all’ergastolo, con isolamento diurno di sei mesi, come esecutore materiale, con le aggravanti dei futili motivi e dell’aver agevolato l’associazione di stampo mafioso Sacra Corona Unita.
Nelle motivazioni della sentenza, depositate lo scorso 15 maggio, la Corte, presieduta da Maurizio Saso (a latere Adriano Zullo), ha fatto riferimento alla confessione resa dall’imputato: Ferrarese - si legge - si “è limitato ad ammettere ciò che non poteva più negare e ha arricchito il racconto di particolari utili solo a ridimensionare la portata dell’accaduto, ricostruendo la notte fra il 9 e il 10 settembre 2019 e l’incontro avuto con Carvone, in via Tevere, nel rione Perrrino, davanti al portone della palazzina in cui il ragazzo di 19 anni viveva con la famiglia. Omicidio che nella ricostruzione della pm Carmen Ruggiero della Dda che ha contestato anche la premeditazione, segue il furto di un’auto.
L’imputato, difeso dagli avvocati Cosimo Lodeserto ed Emanuele De Francesco, ha riferito di aver “sparato per colpire le gambe di Giampiero”, aspetto che secondo i giudici togati e popolari è “smentito alle conclusioni degli esperti”, così come dalle dichiarazioni di una ragazza di Brindisi alla quale l’imputato aveva chiesto di sostenere il suo alibi, confermando che quella notte erano stati insieme. E dalle dichiarazioni di altre persone che avevano ricevuto la sua confessione, tra le quali il collaboratore di giustizia Emanuele Guarini, 49 anni, di Mesagne, nel periodo della detenzione comune in cella, prima che maturasse la decisione di incontrare i pm della Dda. Guarini è stato condannato a 30 anni, in via definitiva, per l’omicidio di Nicolai Lippolis, avvenuto in Montenegro a settembre 1998.
Inverosimile, sostiene la Corte, è il riferimento al fatto che “a un certo punto della lite con Carvone, quest’ultimo avrebbe detto che sarebbe salito a casa e sarebbe sceso munito di pistola inserita nella cintura dei pantaloni”. Pistola, si legge ancora nelle motivazioni, “di cui si era impossessato Ferrarese”. Si tratta “di una dinamica del tutto fuori da ogni logica” perché per i giudici è “inverosimile che un soggetto, nel pieno di una colluttazione senza una risoluzione della stessa, avvisi il suo aggressore di attenderlo in quello stesso luogo per pochi minuti”. Così come è inverosimile che l’altro “attenda effettivamente in quei minuti senza né andare via, né assumere ulteriori determinazioni”. Ancora “più inverosimile - proseguono - è che, dopo che il primo soggetto si era munito di una pistola, non l’aveva neppure usata per offrirla al comodo utilizzo del suo antagonista” e che Ferrarese “voleva solo far allontanare Giampiero ma ha continuato a sparare anche quando il ragazzo si era già allontanato”. “Tra l’altro - aggiungono i giudici - non si è mai vista una gambizzazione a venti metri di distanza dalla vittima. La difesa di Ferrarese ricorrerà in Appello.