A Brindisi rischio concreto di una «guerra tra clan di stampo mafioso», con scia di sangue tra giovani, per la sete di vendetta dopo l’omicidio di Giampiero Carvone, il 19enne ucciso a colpi di pistola la notte fra il 9 e il 10 settembre 2019, in via Tevere, nel rione Perrino, davanti al portone del condominio in cui viveva con la famiglia.
Lo scenario che in quel periodo si era venuto a creare all’interno dei gruppi che avevano il controllo delle attività illecite è stato ricostruito dal collaboratore di giustizia brindisino, Andrea Romano, 38 anni, ammesso in via definitiva al programma di protezione. E le dichiarazioni rese dal pentito sull’omicidio Carvone sono state riportate dalla pm della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Carmen Ruggiero, nel corso della requisitoria davanti alla Corte d’Assise di Brindisi, presieduta da Maurizio Saso, prima di chiedere ai giudici di condannare all’ergastolo Giuseppe Ferrarese per l’omicidio del 19enne. Omicidio, sostiene la pm, aggravato non solo dai futili motivi e dalla premeditazione, ma dall’aver agevolato l’associazione mafiosa Sacra corona unita.
Carvone sarebbe stato «promesso ad Andrea Romano, capo dell’omonimo clan di Brindisi, tramite un affiliato» e avrebbe «pregiudicato gli interessi dei gruppi» che controllavano la città agendo come «cane sciolto, fuori delle regole e in violazione del vincolo di omertà». Sarebbe stato ucciso perché avrebbe indicato Ferrarese come suo complice «nel furto dell’auto», avvenuto la mattina precedente.
Romano ha rilevato che alcuni dei suoi affiliati, dopo l’omicidio Carvone, gli avevano «chiesto l’autorizzazione a vendicare l’uccisione» del 19enne, dando in questo modo una «prova di coraggio». Il via libera era relativo all’uccisione del responsabile di quell’omicidio, perché nell’ambiente il nome dell’autore era noto.
«Ma se avessi autorizzato quell’azione - ha detto Romano - ci sarebbe stata una guerra tra clan».
Ferrarese, in carcere dal 27 giugno 2022, si sarebbe salvato dalla vendetta omicidiaria per due motivi: «Perché Romano, che in quel periodo stava già pensando di collaborare con la giustizia, si pente, e perché l’affiliato di sua fiducia è stato arrestato». Lo stesso affiliato che, nella ricostruzione dei fatti, avrebbe promesso l’ingresso di Carvone nel gruppo di Romano. Ma l’affiliazione del 19enne venne scartata dallo stesso Romano perché il giovane non aveva ancora maturato la capacità di farne parte.
Ferrarese, in quel periodo, era vicino al clan opposto a quello di Romano, riconducibile a Luca Ciampi e a Davide di lena, altri due brindisini, a loro volta ritenuti affiliati al gruppo di Daniele Vicientino, alias il Professore, espressione del cosiddetto clan dei mesagnesi opposto a quello dei tuturanesi di Francesco Campana, al quale Romano era affiliato - per sua stessa ammissione - con il grado di crociata.
In questo assetto, la vendetta avrebbe scatenato una conflittualità tra clan che avrebbe fatto cadere la pax mafiosa. Pace che conveniva a tutti per continuare a gestire le attività illecite in modo sommerso, tenendo lontane le forze dell’ordine.