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Inchiesta Off Shore
Antonello Norscia
22 Aprile 2018
TRANI - Nessuna condanna a conclusione del processo di primo grado “Offshore” celebratosi davanti al Tribunale di Trani. Il collegio presieduto da Giulia Pavese ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di “trasferimento fraudolento di valori” contestato all’imprenditore edile barlettano Antonio Chiarazzo (70enne) ed assolto dall’accusa di concorso in riciclaggio “perché il fatto non sussiste”, il suo commercialista Raffaele Palmieri, 58enne barlettano, ed il 60enne faccendiere milanese, ma residente a Londra, Marco Acquistapace. Dunque, nessuna pena ed il conseguente svincolo delle somme sequestrate in via cautelare.
Tra 90 giorni le motivazioni della sentenza che chiude, di fatto, l’echeggiante inchiesta che nel 2013 accese i riflettori su una serie di rapporti contabili e sul lussuoso panfilo di 23 metri “Nadara”: di qui il nome dell’operazione, battezzata “Offshore”
Secondo l’accusa che nel 2014 portò al rinvio a giudizio, gli imputati avrebbero, a vario titolo, occultato le ingenti somme a nero non dichiarate nei rogiti notarili per la vendita di immobili.
L’indagine “Offshore” rappresentò, infatti, una costola dell’inchiesta “Paradisi Perduti” sui molti quattrini sfuggiti ad imposizione fiscale in occasione di compravendite immobiliari. In quell’indagine fu coinvolto pure Chiarazzo, che anche in quel caso, in grado appello, sentì dichiarata prescritta della sua contestazione.
Per quanto ricostruì l’inchiesta condotta dall’allora comandante della Guardia di Finanza di Barletta, Giulio Leo, cui subentrò il col. Giuseppe Cardellicchio, la presunta «lavatrice» Acquistapace sarebbe stato la cosiddetta “lavatrice”, attraverso la società ad hoc Silver Trend Ltd, di cospicui guadagni a nero di Chiarazzo per l’acquisto, almeno nelle intenzioni, di una nuova barca: “Nadara 78”, un panfilo di 23 metri di lunghezza commissionato ad un cantiere di Massa.
Il 20 giugno 2013 l’inchiesta sfociò nel decreto di sequestro preventivo per 1 milione e 120mila euro del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Luca Buonvino. All’effettivo atto del sequestro la Guardia di Finanza riuscì a bloccare una somma inferiore sui conti correnti bancari riconducibili all’imprenditore edile: circa 300mila euro. Secondo l’originaria accusa Palmieri (difeso dall’avvocato Rinaldo Alvisi) ed Acquistapace (difeso dall’avv. Salvatore Achenza) avrebbero compiuto operazioni “volte a sostituire denaro provento di evasione fiscale di Chiarazzo (difeso dall’avvocato Vincenzo Papeo) con un nuovo bene (la lussuosa barca, per l’appunto) intestato fittiziamente alla società inglese; ostacolando così l’identificazione della provenienza delittuosa delle somme di denaro impiegate nell’acquisto del bene di lusso”.
Come fu evidenziato dalla Procura in occasione della conferenza stampa successiva al sequestro, il “nero” costituito dalle maggiori somme non indicate nei rogiti sarebbe dovuto pur finire da qualche parte ma occorreva fare le cose per bene ed avvalersi di gente “qualificata”. Perché il lusso andava goduto ma non intestato. Per non destare facili sospetti e far immediatamente emergere cioè che nei rogiti delle vendite immobiliari era stato abilmente sommerso, facendosi versare in contanti, ed a nero, il maggior prezzo imposto agli acquirenti.
Al cuore di Londra a società del “faccendiere italiano” il cui core-business sarebbe stato “ripulire il nero” occultando e proteggendo l’effettivo proprietario del bene di lusso, provento dei guadagni non dichiarati e dunque non tassati.
Ora, però, giunge la sentenza di primo grado che assolve il commercialista ed il faccendiere e salva con la prescrizione l’imprenditore Chiarazzo.
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