BARI - Davide Francesco Rizzo, 43enne di origini siciliane ma cresciuto a San Girolamo, non è più un uomo socialmente pericoloso. Il carcere, anche quello duro, dove ha scontato una lunga condanna per un duplice omicidio di mafia, lo ha cambiato. «Ha dimostrato - dicono oggi i giudici - di aver compiuto una autentica attività di recupero della propria condotta, che consente di ritenere cessata la pericolosità sociale, sì che non deve darsi luogo alla esecuzione della sorveglianza speciale».
Quella di Rizzo è una storia di riscatto che passa attraverso ciò che ogni espiazione della pena dovrebbe garantire: la rieducazione, la possibilità di venir fuori da una cella come persone migliori. Ed è quello che è accaduto a Rizzo, al quale l’arte, la pittura, ha dato una nuova speranza, fino al sogno di aprire una bottega dove esporre i suoi quadri e continuare a dipingere.
Rizzo, nato a Catania, si è trasferito in Puglia da bambino con la famiglia e a Bari si è diplomato all’istituto d’arte. Poi, vent’anni fa, all’epoca appena 23enne, fu coinvolto, ritenuto vicino al clan Capriati, nella «strage di San Girolamo». Suo figlio era appena nato quando, dopo quasi tre anni di latitanza, si costituì e trascorse - a partire dal 2010 - alcuni mesi al regime del 41 bis, il carcere duro, finché i giudici baresi esclusero che fosse un mafioso, pur condannandolo a 17 anni per aver ucciso, nel febbraio 2004, due presunti affiliati al clan Strisciuglio di Bari, Matteo Cucumazzo e Antonio Colella. In carcere, prima a Biella, poi a Nuoro e a Sassari, è rimasto fino a febbraio 2021, lavorando allo smistamento pacchi, dedicando il suo tempo libero a dipingere. Assassino, poi latitante per amore, infine pittore e poeta. Alcuni anni fa i suoi quadri sono stati anche esposti e venduti in una mostra temporanea il cui ricavato è andato, per sua volontà, in beneficenza, destinato al reparto di neonatologia dell’ospedale di Nuoro, in Sardegna.
Dal 2021 ad agosto 2023 Rizzo è stato in espiazione di pena con la misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale. All’indomani del fine pena, la difesa del 43enne, l’avvocato Nicola Quaranta, ha chiesto al Tribunale di Prevenzione di rivalutare la valutazione di pericolosità sociale, ritenendola «non più attuale». Su Rizzo, infatti, pendeva ancora una misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per due anni e mezzo disposta nel 2005, alla quale non è mai stato sottoposto perché ininterrottamente detenuto per dieci anni. Nell’istanza il legale evidenzia a ormai un ventennio dagli ultimi reati commessi, Rizzo «appare oggi un soggetto rieducato per legge, cioè più consapevole e ormai scevro da impulsi criminogeni». Oggi il 43enne ha una famiglia e lavora.
I giudici hanno condiviso questa tesi, evidenziando che in carcere Rizzo ha fatto «un percorso detentivo costantemente positivo, con profonda revisione critica delle condotte devianti». Secondo il Tribunale, quindi, Rizzo adesso è una persona migliore e non merita di essere sottoposto per altri 30 mesi alla sorveglianza speciale.
Quando qualche anno fa, poco prima che lasciasse il carcere, il suo avvocato raccontò per la prima volta la sua storia, parlò di Rizzo come «un bell’esempio di rivalsa e di svolta che passa attraverso il carcere e si manifesta con l’arte». Nel suo studio custodiva un suo quadro, «speditomi dal carcere - spiegò - che rappresenta un passaggio paradisiaco, forse quello che si aspetta di trovare quando avrà finito di pagare interamente il suo debito con la società». Quel debito ora è interamente pagato.