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Bari Vecchia bazar dello spaccio: un «business» gestito in famiglia

 
Luca Natile

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Luca Natile

Bari Vecchia bazar dello spaccio: un «business» gestito in famiglia

Il giro della droga è un intreccio di connivenze e parentele. I turisti come schermo

Lunedì 27 Maggio 2024, 12:52

BARI - Piccoli traffici a gestione intrafamiliare. La rete dello spaccio a Bari Vecchia è un intreccio di legami di sangue, intessuto nei vicoli, nei cortili, nei sottani dove la malavita è padrona, tra comitive di turisti e pellegrini di San Nicola utilizzati come schermo, come riparo.

Lo smercio di cocaina, marijuana, hashish ed eroina rispetta i vincoli di parentela ed i gradi di camorra. Viene organizzata a partire dalla individuazione di una rete di «cupe» (nascondigli) ricavate nelle cassette dei contatori del gas, nelle feritoie dei muri imbiancati, nelle coorti «private», nei bassi non più abitati. Tutto avviene con un supporto logistico «insourcing» nel quale la gestione del magazzino, l’imballaggio, il co-packing, il controllo qualità e il deposito dei guadagni viene curato tutto con risorse interne alle famiglia di camorra.

Così descrivono il giro dello spaccio, tra strategie e organizzazione, gli atti dell’ordinanza di convalida dell’arresto e la contestuale applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari per Sabino Capriati, 24 anni, primogenito di Raffaele, 41, detto «Lello», ammazzato la sera dello scorso 1° aprile, lunedì Pasquetta, nel rione di Torre a Mare. Sabino è stato bloccato a Bari Vecchia sabato 11 insieme al cugino di 31 anni che ha il suo stesso nome e cognome e che secondo la ricostruzione dei detective, in questa circostanza avrebbe agito da «palo» mentre al cugino sarebbe spettato il compito di consegnare materialmente la roba e riscuotere il dovuto.

Nella propria disponibilità Sabino (fù Lello), al momento dell'arresto, aveva una decina di grammi di cocaina e una cinquantina tra marijuana e hashish. Gli agenti della Squadra Volanti della Questura, guidati dal primo dirigente Davide Corazzini, hanno individuato i due cugini mentre in strada Santa Maria del Buon Consiglio, cedevano marijuana ad un cliente che è stato subito bloccato dagli agenti e che colto di sorpresa ha subito mostrato la bustina di marijuana acquistate al modico prezzo di 30 euro e risposto alle domande degli agenti, affermando di essere un assuntore saltuario e di aver sempre fatto la spesa in quella piazzetta, un piccolo bazar dello spaccio sempre aperto.

La cessione è avvenuta in pieno giorno, alla luce del sole, in una rientranza della strada che garantiva un minimo di privacy ma nel frenetico viavai di turisti e visitatori alla scoperta dei monumenti, delle chiese e degli angoli più suggestivi del borgo antico. Il caos rappresenta un fattore che in altre circostanze avrebbe aiutato i due Capriati i quali sono stati comunque notati dagli agenti. Nella rientranza della strada, gli uomini delle Volanti si sono resi conto che si apriva una specie di «coorte privata», un angolo nascosto, con una pila di sedie e un tavolino lasciati lì dalla gente che vive i vicoli, le piazzette, le piccole coorti come una stanza in più (a cielo aperto) della propria abitazione e che i cugini Capriati utilizzavano come bottega e deposito nascondendo lo stupefacente in una feritoia del muro, una specie di distributore automatico da dove i due consanguinei prelevavano il quantitativo richiesto, per non tenere mai troppa roba addosso in caso di arresto.

Lo spaccio a Bari Vecchia è consociativo, un vero affare di famiglia e così gli agenti, fermati i due Capriati non sono riusciti a recuperare i trenta euro appena pagati dal compratore. Ipotizzano che il più giovane dei cugini abbia depositato la somma in una delle vicine case di famiglia, dove vivono zii, nipoti, cognati, suocere, madri e padri degli affiliati, Una rete che viene utilizzata all’occorrenza come bancomat dove depositare in tempo reale le somme raccolte.

Lo stesso scenario descritto negli atti del procedimento che ha portato all’arresto, da parte degli investigatori della Squadra mobile, guidati dal primo dirigente Filippo Portoghese, quindici giorni prima, di altri quattro presunti esponenti della stessa famiglia di camorra dei Capriati con le accuse di concorso in detenzione finalizzata allo spaccio di un ingente quantitativo di sostanza stupefacente e concorso in detenzione e porto illegale di arma da fuoco.

Si tratta di Giuseppe Capriati, di 27 anni, figlio di Domenico (detto Mimmo), ucciso nel 2018 a 49 anni in un agguato in via Archimede; Onofrio Lorusso, di 28 anni, cognato di Raffaele Lello Capriati, assassinato a Torre a Mare la sera di Pasquetta, di Vito Lucarelli, 21enne, e Michele Schiavone, di 20. Anche loro utilizzavano la città vecchia come piazza di spaccio, sfruttando luoghi e case di famiglia.

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