BARI - Retribuire una singola preferenza a 50 euro presuppone una enorme disponibilità di denaro contante, evidentemente non tracciato. È da questa banale considerazione che emerge il dubbio sul sistema messo in piedi da Alessandro Cataldo, il marito dell’ex assessore regionale Anita Maurodinoia finito ai domiciliari giovedì 4 aprile nell’inchiesta della Procura di Bari che ipotizza per entrambi l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale. Un sistema che, in base alle indagini dei carabinieri coordinati dai pm Claudio Pinto e Savina Toscani con l’aggiunto Alessio Coccioli, avrebbe operato almeno tre volte: una, per le Comunali di Triggiano dell’autunno 2021, prima ancora per quelle del 2020 a Grumo Appula che si svolgevano in contemporanea con le Regionali, prima ancora in quelle del 2019 in cui «lady preferenze» Maurodinoia ha preso 6.600 voti.
È la traccia dei soldi, dunque, la prossima tappa dell’inchiesta. Chi indaga sta infatti cercando di rispondere a questa domanda: da dove proveniva la provvista finanziaria utilizzata da Sud al Centro? E - più in generale - come è stato costruito e come è composto il patrimonio della famiglia Cataldo-Maurodinoia, che conta su decine di immobili tra abitazioni, ville e terreni, prevalentemente nella città natale di Triggiano ma anche in giro per il Barese?
Non più tardi di un mese fa la Dda di Bari ha fatto un lavoro simile sull’avvocato Giacomo Olivieri. È stato destinatario di una misura di prevenzione che ha sottoposto a sequestro tutto il patrimonio di famiglia. Appartamenti, ville, terreni, denaro, gioielli di cui la Procura ha rilevato la sproporzione rispetto al reddito dichiarato (se ne discuterà prossimamente davanti al Tribunale). E anche nel caso di Cataldo-Maurodinoia potrebbe essere seguito un percorso simile.
Maurodinoia risulta direttamente proprietaria di 14 fabbricati (alcune sono nude proprietà il cui usufruttuario è il suocero) e 16 terreni, e dichiara un reddito di circa 110mila euro l’anno in cui oltre alle indennità della Regione ci sono piccole somme erogate dall’università telematica Pegaso di cui il marito è «rappresentante» per la zona di Bari. Suo marito ha un reddito decisamente più basso, risultando dipendente di una società (Ascogi) che si occupa appunto di tutoraggio per le università online Pegaso e Mercatorum: quelle dove si sono laureati tantissimi aderenti a Sud al Centro dipendenti dell’agenzia regionale Adisu il cui presidente è suo cugino omonimo Alessandro Cataldo. Anche lui, a sua volta, marito di una consigliera comunale di Triggiano indagata per voto di scambio.
Cataldo, 52 anni, risulta gravato di «quattro precedenti condanne per truffe, anche in concorso, sempre commesse in territorio di Triggiano nonché turbativa del possesso di immobili, per le quali ha riportato condanne a pene detentive anche pari a tre anni» e un carico pendente importante (bancarotta). La sua famiglia risulta avere in uso una villa con piscina a Polignano nello stesso complesso residenziale in cui c’era anche la villa di Giacomo Olivieri e della moglie Maria Carmen Lorusso. L’immobile è intestato a una società, chiamata (con poca fantasia) Cataldo Gestioni Immobiliari&Consulting, riconducibile alle figlie della coppia. Entrambe risultano essere studentesse.
La Procura contesta a Cataldo un ruolo di promotore e organizzatore del sistema criminale per truccare le elezioni, e lo considera proprietario di fatto della Ascogi di cui risulta dipendente, e di cui utilizza un veicolo di grossa cilindrata: il modus operandi abituamente utilizzato da chi intende nascondere il proprio patrimonio. Va detto però che il gip, nella valutazione degli elementi di colpevolezza, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi a carico di Cataldo solo per le elezioni ipoteticamente truccate a Triggiano (con l’elezione del sindaco Antonio Donatelli, finito ai domiciliari) ma non per quelle di Grumo che pure avrebbero portato voti alla moglie.
Il metodo elettorale di Sud al Centro era però già stato oggetto di una indagine che riguardava, ancora per le comunali 2019 di Bari, un candidato al Municipio uno di Bari, Carlo De Giosa, un dipendente della Sanitaservice del Policlinico di Bari che offriva 25 euro per il voto in accoppiata con la Maurodinoia. «A chiusura di quella indagine - hanno riassunto i pm nella richiesta di custodia cautelare accolta dal gip De Santis - non si potè fare a meno di considerare come il De Giosa, dichiarazione dei redditi alla mano, non potesse disporre in prima persona di lina liquidità tale da potergli disinvoltamente permettere dapprima di promettere e poi finanche soddisfare il pagamento di quella somma di denaro offerta ad una platea molto vasta di elettori».
La linea della difesa di Cataldo, però, è su una linea assolutamente opposta. «Cataldo - dice il suo avvocato, Mario Malcangi - respinge l’accusa di aver pagato qualcuno per i voti. Alle ultime elezioni di Bari la sua lista aveva 170 candidati tra Comune e municipi, ciascuno con almeno una persona di supporto. È impensabile che possa essersi fatto carico di tutti. E anche la contestazione mossa alla moglie Anita Maurodinoia, ad esempio sul collegamento con le elezioni di Grumo, è sfornita di prova. Il gip non ha ritenuto sufficienti gli indizi raccolti a carico di Cataldo. E del resto ogni candidato alle elezioni comunali va in abbinata con qualcuno che si candida alle Regionali. Non significa che il secondo paghi per il primo, altrimenti saremmo all’assurda contestazione di aver pagato somme enormi».