BITONTO - «Il tuo sport si è trasformato in mia sofferenza, ma una sofferenza che è amore e luce». La mano tremante di Nennella, ragazza che studia per diventar maestra, verga queste parole sul retro di una foto grande. Il segno della matita ha lo stesso scintillio d’argento dell’incerto asfalto che indovini sull’istantanea. A cavallo di una moto tonante, il suo uomo, Giuseppe Calia da Bitonto, pioniere del motociclismo pugliese. Sono gli anni Sessanta, la pur nobile fatica dei campi si emancipa fra gli agi della città.
Papà Pasquale, pur proprietario di una Balilla che gli ha permesso di ricevere una targa dall’Automobile club di Bari nel 1919, vorrebbe solo che suo figlio si dedicasse ai libri, lo iscrive al celebre liceo classico «Carmine Sylos», chiude a chiave la cameretta affinché il ragazzo possa dedicarsi alle versioni di latino e greco. Macché, non c’è niente da fare. Il richiamo della velocità è invincibile. Pinuccio si cala dalla finestra e corre dall’amico Tonino Muschitiello, meccanico di gran vaglia, carezza un poco la sua meraviglia e fugge via felice. Il rombo della motocicletta che gira all’impazzata intorno alla villa comunale fa ammattire i residenti, che bonariamente protestano. Invano.
Pertinace come pochi, Calia si sente un pilota nato. La prima gara, la famosa cronoscalata sul circuito della Selva di Fasano, nel 1959. Sguardo magnetico, corpo statuario a dominare la moto, guida impavida: arriva secondo. Partenze a strappo, caschetti esili, occhialoni antichi, tuta in pelle tosta che ricuciva il mastro sarto e sodale Nicola Illuzzi: principia così la leggenda, che prosegue saettando nelle categorie 125, 155, 175, sulle piste di Spoleto, Vallelunga, Morciano, Cingoli, Perugia, Riccione e Roseto degli Abruzzi. Sarà spesso protagonista al Gran Premio di Roma, in più di una edizione. Correrà anche a Monza e a Modena, dove, in una kermesse nazionale nel 1962, partì in pole position con l’astro nascente Giacomo Agostini, appena ventenne. Avevano fatto registrare lo stesso tempo in prova, pur Ago in sella ad una Moto Morini Settebello ufficiale, Calia su una privata della medesima marca. MotoBi della Benelli, Laverda, Bimm Gori, persino la storica MV Augusta: queste scalpitanti creature inforcò il centauro bitontino.
«Quante sfide ha affrontato su percorsi dissestati, solo per la voglia di correre e la passione pura per le gare, tra strapiombi, muretti a secco, ulivi secolari, curve protette solo da balle di fieno, e con qualsiasi tipo di meteo», e, mentre racconta fiera, brillano d’emozione gli occhi alla figlia Anna. E sua sorella Lucia aggiunge: «A casa abbiamo solo una coppa d’argento, gigantesca. Tutte le altre le ha regalate a compagni e collaboratori. Sì, faceva pure tanta beneficenza papà».
Dopo dieci anni d’impavidi duelli contro il tempo, Pinuccio promette solennemente alla consorte che gestirà solo il negozio di elettrodomestici in piazza Cavour, ed anche in questo era stato il primo in città. Ma il richiamo dei motori è irresistibile. Col figlioletto Pasquale - che già lo aveva seguito a bordo pista e che, adorandolo, anche lui ha tentato l’avventura nel fantastico mondo delle due ruote, a fine anni Ottanta - fa un salto nelle Marche per assistere ad una prova. Sulla via del ritorno, l’avvisaglia del brutto male che lo ghermisce fatale. È l’autunno del 1970: a soli 39 anni si spegne la vita dell’ostinato sognatore Giuseppe Calia De Lerma, discendente d’aristocratica stirpe spagnola.
Un fiume di gente in lacrime lungo il corso, a tributargli l’ultimo saluto. Ed è stato come se il vento, perduto il suo rivale più eroico, lo avesse richiamato a sé, rapendo crudele in cielo il «duca volante».