BARI - Dalle prime ore di questa mattina, i carabinieri del Comando Provinciale di Bari, a conclusione di complesse indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura del capoluogo pugliese, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 60 di indagati ritenuti appartenenti a un sodalizio criminale attivo nel sud-barese, dedito al traffico di sostanze stupefacenti.
L'operazione coinvolge Castellana Grotte, Putignano, Noci, Polignano a Mare, Alberobello, Locorotondo e Acquaviva delle Fonti. Sono contestati anche reati di riciclaggio, sequestro di persona e rapina, detenzione di armi, estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Il provvedimento scaturisce dall’indagine denominata “Partenone” condotta dal 2019 al luglio 2022, che ha consentito di evidenziare l’esistenza di una radicata associazione a delinquere dedita al narcotraffico sotto il controllo del clan Capriati, composta da numerosi adepti e strutturata con ramificazioni in diverse parti del Barese.
L'operazione di oggi trae origine dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia riguardo al ruolo di Carmelo Recchia, 47enne di Castellana Grotte, indicato come referente del clan su quel comune.
È stata documentata un’intensa attività di spaccio condotta e gestita da Recchia nel territorio di Castellana Grotte, anche tramite familiari e pusher, nonché i legami con un noto pregiudicato di Putignano dal quale si riforniva abitualmente di cocaina e hashish.
Svolta per l’indagine è stato il decesso, nel gennaio 2020, del referente del clan Capriati nel comune di Putignano, evento che ha determinato un “vuoto di potere” e che ha permesso agli investigatori di svelare gli assetti organizzativi preesistenti e i possibili successori. Sono state infatti captate importanti conversazioni in cui veniva commentato il passaggio di consegne.
È stata quindi scoperta una struttura organizzativa basata su articolazioni territoriali (Castellana Grotte, Putignano, Noci, Polignano a Mare, Alberobello, Locorotondo e Acquaviva delle Fonti), tutte indipendenti ma correlate fra loro attraverso forniture incrociate di stupefacenti e sottoposte alla direzione garantita dalla famiglia Capriati.
In cima, quindi, c'era la famiglia Capriati e, in posizione immediatamente subordinata, “La Bionda”, quarantunenne di Putignano, che aveva la gestione della cassa e delle forniture, versando il dovuto alla famiglia Capriati dopo aver raccolto i proventi dello spaccio dai vari referenti territoriali.
Altri riscontri sono arrivati dal sequestro di 4 pistole clandestine, un silenziatore e svariati kg di hashish, eroina e cocaina. 43 indagati sono stati condotti in carcere, 17 posti agli arresti domiciliari (uno raggiunto dal provvedimento mentre era in Francia), mentre per altri 2 indagati è stata disposta la misura dell’obbligo di dimora nel comune di residenza e di presentazione alla polizia giudiziaria. Cinque persone sono irreperibili.
Preoccupante anche la presenza di giovanissimi nell’organizzazione: «In carcere sono finiti due giovani di 26 e 20 anni, estremamente spregiudicati e dai metodi subdoli. Abbiamo intercettato una conversazione in cui si proponevano di punire un acquirente che non pagava mischiando l’eroina da vendergli con veleno per topi»
«Queste indagini, strategicamente molto importanti - sottolinea il sostituto procuratore della Dda, Federico Perrone Capano - hanno avuto un impulso rilevante durante la pandemia. Il lockdown ha portato i membri dell’organizzazione e i consumatori a rifornirsi di stupefacenti attraverso il telefono, il che ci ha dato la possibilità di ottenere diversi riscontri».
L’organizzazione aveva una cassa comune e parte degli introiti veniva versata ai vertici, che ordinavano anche «spedizioni punitive» nei confronti degli spacciatori ritenuti infedeli. «Abbiamo intercettato in diretta - ha spiegato la pm Silvia Curione - un sequestro di persona nei confronti di un pusher considerato 'traditore', che è stato picchiato e a cui è stato tolto il telefono. In un altro caso, a Bisceglie, una spedizione punitiva è fallita solo perché la pistola utilizzata per uccidere si è inceppata».
Rilevante anche il ruolo delle donne: «Non è una novità - sottolinea il coordinatore della Dda Francesco Giannella - in molti casi ricoprono anche posizioni di vertice, oltre che di aiuto per mariti e compagni». Indgata anche la moglie del boss Filippo Capriati, Angela, che non è stata sottoposta a misura cautelare.