BARI - Nella primavera 2017 Japigia fu a un passo dal diventare teatro di una guerra di mafia tra i clan Parisi e Palermiti, tra i due storici boss del quartiere a sud di Bari Eugenio «il nonno» e Savinuccio. A rivelarlo sono alcuni collaboratori di giustizia i cui verbali sono stati depositati nel processo d’appello sulla faida all’epoca in atto con il gruppo criminale capeggiato da Antonio Busco per il controllo del traffico di droga. In 23 sono stati condannati in primo grado, con rito abbreviato, a pene comprese fra i 30 anni e i 2 anni e 8 mesi di reclusione. Ieri in aula i difensori degli imputati hanno chiesto che quei pentiti vengano a raccontare quello che sanno direttamente in aula.
Il 29 marzo toccherà a Domenico Milella, ex braccio destro del boss Palermiti, a Domenico Lavermicocca e Donato Telegrafo. Nel processo sono contestati i due agguati del 6 marzo 2017, quando venne ucciso il pregiudicato Giuseppe Gelao e ferito Antonino Palermiti, nipote del boss Eugenio, e del 12 aprile quando fu assassinato, in risposta a quel delitto, il pregiudicato Nicola De Santis, vicino a Busco. Quella sera un proiettile forò la porta di un’aula del liceo Salvemini, fortunatamente senza provocare vittime.
Telegrafo, per esempio, ha raccontato in centinaia di pagine quello che sa su armi, omicidi e tentati omicidi, tra i quali anche gli agguati a Francesco Barbieri (il delitto che il 17 gennaio 2017 inaugurò quella stagione di sangue), Giuseppe Gelao e Nicola De Santis.
Lavermicocca, invece, ha riferito più nel dettaglio il clima di quel periodo. Dopo la morte di Gelao, uomo del clan Palermiti, per mano del gruppo di Busco, ex protetto del boss Parisi, come risposta all’omicidio Barbieri, «all’inizio i Parisi erano molto ma molto in disparte – ha spiegato Levermicocca - erano tra l’incudine e il martello, non volevano esporsi. Poi però gli fecero capire che o erano con noi o contro di noi, cioè facevamo guerra pure con loro e allora loro fiancheggiarono i Palermiti».
Lavermicocca, entrato a far parte del clan Palermiti proprio in quel periodo, ha raccontato di essere stato lui ad avvertire i suoi di un agguato in arrivo, perché aveva visto due grossi motori con a bordo 4 persone con caschi integrali e bandane. Le stesse moto che poi incrociarono in strada Gelao e Palermiti, i quali aspettandosi una reazione dopo l’omicidio di Barbieri «sapevamo che ci poteva stare qualche vendetta e comunque camminavano tutti armati».
Per l’omicidio Gelao sono imputati Davide Monti e Giuseppe Signorile (condannati in primo grado a 30 anni). Per l’omicidio di De Santis Domenico Milella (9 anni e 4 mesi di reclusione). Gli altri 20 imputati (condannati a pene dai 9 anni ai 2 anni e 8 mesi di reclusione) rispondono delle cosiddette «stese» in stile camorristico: incursioni di gruppi armati a bordo di decine di moto che sparavano in piena notte nelle strade del quartiere interi caricatori di mitragliette. Tra questi ci sono i pluripregiudicati Radames Parisi, Michele Ruggieri e Attilio Caizzi, Filippo Mineccia e Raffaele Addante. A processo anche i due pluripregiudicati assolti in primo grado, il figlio del boss Giovanni Palermiti e Umberto Lafirenze.
Dinanzi alla Corte di Assise di Appello i pm Fabio Buquicchio, Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano, applicati anche al processo di secondo grado, hanno prodotto anche i verbali con le dichiarazioni di altri tre «pentiti»: Roberto Marchello, Michele Citarelli e Gianfranco Catalano.