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I Carofiglio: padre e figlia, dialogo all’ora del caffè

 
Enrica Simonetti

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Enrica Simonetti

Gianrico e Giorgia Carofiglio

Gianrico e Giorgia Carofiglio

Gianrico e Giorgia scrivono un libro insieme. E lei si racconta: «L’importanza di chiamarsi...? ho accettato un compromesso»

Martedì 22 Novembre 2022, 15:04

Ha 26 anni, è barese, si è laureata in Teoria politica alla University College London e si chiama Giorgia Carofiglio. Con il padre, il notissimo scrittore Gianrico Carofiglio, firma il libro L’ora del caffè. Manuale di conversazione per generazioni incompatibili, che esce oggi per Einaudi Stile Libero Big (pp. 144, euro 17,00). Un volume che si apre con la citazione di Salvador Allende «Essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione persino biologica» e si propone come una sorta di «manuale-non manuale» su come il dialogo tra generazioni si può affrontare, su come le differenze (e menomale che esistono ancora!) possano diventare non solo scontro ma arricchimento reciproco, tra ironia – che nelle pagine c'è eccome – e voglia di costruire un percorso nuovo.

Bruna, look semplice, un po' emozionata: abbiamo intervistato Giorgia partendo dalla domanda che – se vogliamo – sorge immediatamente spontanea, ossia dall'importanza di chiamarsi Carofiglio. Lei non si sottrae e ne discute.

Giorgia Carofiglio, lo affrontiamo subito «il» tema? Qualche giornale ha titolato «Carofiglio-Cara figlia»... come ha superato questo imbarazzo?

«Non che io l'abbia superato del tutto (sorride) e ci ho dovuto pensare un po'. Diciamo che ho accettato il compromesso. Tutto è partito dal fatto che trovo il tema del dialogo tra generazioni molto scottante: ho fatto l'esperienza dei podcast con mio padre, dialoghi a due su tematiche diverse e anche questo ha dato vita ad una serie di discussioni. In particolare, una sul cambiamento climatico, lite che rischia di diventare una leggenda metropolitana, visto che lui non se ne ricorda più. Ma mi ha fatto riflettere su una realtà: persone di generazioni diverse non si capiscono. Di qui, l'idea di una riflessione comune sui temi che interessano tutti, che fanno parte della vita. Mio padre ed io ne parliamo in queste pagine e ci confrontiamo, ciascuno con le proprie idee».

Mio padre ed io: un papà-coautore, scrittore tradotto in tutto il mondo e richiesto da tante case editrici, da tanti festival... è più un'ombra o una luce?

«Entrambe probabilmente. Ma devo dire che è bello avere una persona con cui potersi confrontare e in questo senso è luce. Può essere un'ombra perché magari mi metto a confronto. Ma come dicevo è un compromesso che ho accettato».

Non ha accettato invece compromessi con l'abitudine di mangiare carne, come racconta nel volume!

«Sì, questo è uno dei temi che affrontiamo: la vita vegan. Ho conosciuto nella mia vita universitaria un'amica vegetariana e attraverso lei ho cominciato ad approfondire le motivazioni che spingono tante persone a non mangiare carne. Anch'io ho iniziato a pensare agli animali da vivi quando avevo davanti un piatto di carne; poi ho letto il libro di Jonathan Safran Foer Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? E ho deciso di non toccare più carne. Vivevo a Roma, quindi non più con i miei, ma nessuno l'ha presa bene in casa. E ricordo che mia nonna mi chiamava per dirmi “ho preparato questa cosa, certo che per te senza prosciutto non avrà lo stesso sapore...”. Mi è rimasta questa abitudine, mangio pesce ma carne no assolutamente e nel libro appunto parliamo di una discussione che avviene in tante famiglie.

Parlate anche di un altro tema importante: l'ansia. Chi non è affetto?

«Non lo nascondo, io ho un sistema di ansia molto serio. Può immaginare per questo libro... Ma nelle pagine parliamo non sul piano personale, ma diciamo che metto a frutto la mia esperienza. Io ho fatto un percorso di analisi, e su questa strada ho trovato tante incomprensioni, soprattutto familiari. Niente di pazzesco, ci mancherebbe, tanto che i miei genitori mi hanno aiutata a trovare uno psicologo con il quale dialogare; però ho sempre notato che c'era quel non prendere tanto sul serio il problema».

E' vero, molti non giovani considerano a torto questo percorso un percorso superfluo.

«Esatto, era percepito come se stessi ingigantendo il problema. E invece quando si ha bisogno di aiuto, serve riceverlo. Ho notato che anche tra i miei amici ci sono percorsi simili: hanno genitori molto aperti ma hanno difficoltà a farsi capire nei momenti di bisogno. Io ovviamente l'ansia non l'ho superata, ma almeno si è stabilito il dialogo a casa. Anche in questo libro».

E l'ansia per i cambiamenti climatici?

«Non ne parliamo. Anche qui: generazioni diverse, atteggiamenti diversi. Abbiamo dovuto smussare alcuni punti di feroci liti: io e mio padre abbiamo idee diverse ma abbiamo trovato un punto d’incontro. Mio padre ha un ottimismo che io non ho: non sono pessimista ma credo che sia urgente fare qualcosa. Lui se ne esce con la storia della cacca di cavallo a New York e cioè il fatto che la città ne era piena e questo era un problema prima dell'arrivo delle auto, che hanno risolto questa emergenza. Beh, io dico che la storia non ha nulla a che fare con il clima. Io temo i tanti circoli viziosi che si creano e perdiamo pericolosamente tempo».

C'è sessismo nella sua generazione? La parità di genere non è ormai un assioma tra voi?

«C'è ancora molto sessismo, ma in maniera più subdola. Lo vedo presente con varie sfumature: squilibri nei rapporti sentimentali, nella gelosia, nella sessualità. Insomma, c'è».

Perché questo libro che è a tratti ironico e a tratti didascalico? Mi sembra che alla fine si voglia conciliare le parti.

«Non lo abbiamo chiamato manuale proprio perché non lo è. L'idea conclusiva è che si possa trovare un dialogo anche quando sembrano non esserci idee comuni. Parlare e capirsi: l'ambizione è quella di una visione comune, anche politica se vogliamo, perché è un metodo costruttivo: trovare un esercizio di metodo per confrontarsi e capirsi».

Come del resto ha scritto Gianrico Carofiglio teorizzando in un saggio il potere della gentilezza, l'uso delle parole.

«Il fine è costruire, appunto».

Padre, nonna (l'indimenticata Enza Buono) e zio (Francesco Carofiglio) tutti scrittori. C'è una genetica del romanziere tutta da studiare?

«Ho cominciato a scrivere piccolissima. Già a 12-13 anni scrivevo e non facevo leggere a nessuno. Ci può essere una facilità di linguaggio un po' innata ma io credo che sia soprattutto merito della lettura e io ho letto e leggo molto; inoltre vivo in una casa di lettori forti e questo sicuramente conta. O ci mettono qualcosa nell'acqua?».

A quando il romanzo? Ormai la prima volta è passata.

«Potrà succedere, ma non immediatamente. Oggi esce il libro e quando questa giostra si finirà potrò fermarmi e pensarci».

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