BARI - Un miglior civismo e infrastrutture stradali da migliorare, ma anche la necessità di un giro di vite nella gestione e nella cura delle tante emergenze sociali e la massima attenzione alle infiltrazioni criminali, sempre più contigue all’economia sana. Il questore di Bari, Giuseppe Bisogno, traccia un quadro della geografia del capoluogo, a tre anni dal suo arrivo in Puglia.
«Bari è una grande e bella città, con tante potenzialità, ma per fare il definitivo salto di qualità necessita di un maggior senso civico. I cittadini faticano a capire che la cosa pubblica è di tutti e quindi è anche loro. È questa la differenza tra noi e il nord Europa, dove la gente non tollera certi tipi di comportamenti contro i beni pubblici», afferma l’alto funzionario, non senza sottolineare il problema delle carenze infrastrutturale a livello stradale. «La Puglia è stretta e lunga e avrebbe bisogno di una dotazione viaria più adeguata. Anche da questo dipende l’ulteriore salto di qualità del territorio», dice ancora.
Qual è la situazione del crimine organizzato a Bari, dopo due anni di pandemia?
«In città, come in provincia, la situazione è molto impegnativa. Non c’è alcun dubbio che i clan ci siano, non sono scomparsi e hanno tutto l’interesse a fare affari illeciti. In città al momento non ci sono conflittualità tra opposti clan, ma si tratta di fibrillazioni interne a ciascun clan per il comando dello stesso. Da parte nostra c’è la necessità di essere sempre allerta per controllare adeguatamente il territorio. In ogni caso il sistema complessivo è messo molto bene: dalla polizia giudiziaria alla magistratura. La macchina è ben rodata sia dal punto di vista del coordinamento, sia sotto l’aspetto dell’operatività. In tema di antiterrorismo e di contrasto al crimine organizzato, in Italia abbiamo poco da imparare, ma non dobbiamo farci illusioni. Dobbiamo perfezionare in particolare le procedure di aggressione ai beni sequestrati, sciogliendo qualche legaccio burocratico di troppo. Ci stiamo lavorando. A Bari, in particolare ho trovato una struttura rodata e ben strutturati, dalla Mobile alla Digos, che sono veramente forti. Soprattutto, lavorano davvero bene anche perché c’è un rapporto leale tra tutti».
Qual è il business principale dei clan?
«Innanzitutto la droga, che ha un mercato ben florido. I clan più attrezzati sono molto attenti a non richiamare l’attenzione su di essi. Sono rispettosi dello status quo, facendo affari, se possibile senza sparare, senza fare rumore».
E dell’altro giorno l’assalto, spettacolare ma fallito, al portavalori in autostrada.
«La nostra realtà territoriale deve fare i conti con formazioni criminali forti e agguerrite, che non si riesce ad annientare. Hanno un livello di preparazione alto, l’altro giorno hanno coinvolto due autoarticolati e tre Suv nel tentativo di rapina sulla A/14».
La contiguità dei clan con i gangli vitali dell’economia è sempre più un problema
«Purtroppo c’è, anche perché è difficile capire il confine tra la buona fede e la malafede. Purtroppo i clan hanno la forza dei soldi, con cui entrano nella parte sana dell’economia. È questa oggi la vera criminalità, che capace di penetrare i vari settori dell’economia. In ogni caso le contromisure sono state e vengono prese con controlli e accertamenti, ma non dobbiamo farci illusioni. Purtroppo, tanto più c’è movimento di danaro tanto più c’è il rischio dell’ingerenza dei clan».
Lo scenario della guerra a est ha creato collegamenti con la criminalità locale?
«No. Al momento non abbiamo alcuna evidenza. None abbiamo notizie di cittadini baresi che sono coinvolti con la guerra».
Che succede con i profughi ucraini?
«Non abbiamo grossi numeri: sono circa 800 le domande di visti, compreso la Bat».
L’emergenza sociale è un nuovo fronte anche per la Polizia di Stato.
«Togliere gli emarginati dalla strada è un’emergenza, perché si tratta di persone che hanno bisogno di cure specifiche. Agli italiani si sono aggiunti gli stranieri. Le richieste di intervento relative all’ordine pubblico si sono moltiplicate, ma il nostro lavoro spesso è vanificato. In tema di accoglienza occorrerebbe un discorso a tutto tondo a livello nazionale».