Bari - Medaglia d’onore al nocese Nicola Giacovelli, internato in un campo di concentramento nazista a Berlino durante la seconda guerra mondiale. Ieri, nella sala degli specchi della Prefettura a Bari, è stata consegnata a Giacovelli la onorificenza concessa ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti.
Classe 1921, egli ha portato la sua dolorosa testimonianza il 30 maggio 2019, nella sua Noci, in una serata dedicata alla storia degli internati militari. Fu detenuto in un campo di concentramento a Berlino, sotto continui bombardamenti e in condizioni igienico-sanitarie praticamente assenti. Arrivò a pesare solo 37 chili. Assegnato a una fabbrica di mitragliatrici, prima che questa fosse completamente distrutta, con i suoi compagni si domandava che senso avesse continuare a sfornare macchine di morte se l’arrivo degli Alleati era vicino. Tuttavia non furono gli americani bensì i russi che, dopo avere preso Auschwitz, giunsero a liberarli.
In Russia egli trascorse cinque mesi. Con Giacovelli c’erano altri cinque nocesi, ora purtroppo scomparsi.
La tragica vicenda dei militari italiani ha inizio l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio sottoscritto da Badoglio con le forze alleate angloamericane. I militari italiani, catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, Grecia, Jugoslavia, Albania, Polonia, Paesi Baltici, Russia e Italia stessa, venivano caricati su carri bestiame e avviati verso una destinazione a loro sconosciuta.
Dopo un viaggio in condizioni disumane, una volta arrivati nel lager, i prigionieri venivano immatricolati con un numero di identificazione che sostituisce il loro nome e viene inciso su una piastrina di riconoscimento accanto alla sigla del campo. Tra le formalità d’ingresso ci sono anche la fotografia, l’impronta digitale, l’annotazione dei dati personali su appositi documenti e la perquisizione personale e del bagaglio.
La testimonianza del figlio Francesco, architetto: «Racconta di un viaggio ignobile nei carri bestiame, uno attaccato all’altro. Mangiavano le bucce delle patate e cercavano di pelarle con la buccia spessa per farne un pasto più denso e nutriente. Avevano una razione molto scarsa di pane».
Il compito di Nicola era rifinire al tornio le canne delle mitragliatrici naziste. «Era molto bravo ed era apprezzato dai tedeschi. Quando una mattina i prigionieri videro i militari russi che li salutavano con la mano, non credevano ai loro occhi. I russi condussero mio padre e altri a Odessa. Il ritorno a Bari fu rocambolesco e quando arrivò a Noci fu accolto dagli sguardi increduli di amici e parenti che lo davano ormai per morto».
Nicola è dovuto diventare adulto assai presto. Suo padre morì che aveva 3 anni, nel 1924. Sua madre era deceduta proprio negli anni della guerra. «Mio padre è stato uno scalpellino molto bravo, un maestro della pietra, e ha lasciato testimonianze notevoli. Nel dopoguerra avviò un’impresa edile». Giacovelli conclude con un aneddoto che potrebbe valere come monito per molti giovani.
«Nel lager chi scendeva a 35 chili di peso doveva essere portato nelle camere a gas. Papà riuscì a non scendere al di sotto di 37 e così sopravvisse, la sua resilienza lo ha salvato e forse lo ha fatto vivere a lungo, temprato a tutto».
Accanto a Nicola Giacovelli, durante la cerimonia di consegna della medaglia d’onore da parte della prefetta Antonella Bellomo, c’era il sindaco Domenico Nisi: «Sono onorato, e lo dico a nome di tutta la nostra comunità, per il riconoscimento giustamente assegnato a questo nostro concittadino. Non è certo la medaglia e ripagare il dolore subìto, il segno inferto da quella esperienza. Niente e nessuno può cancellare quello che è stato. Ma possiamo impegnarci per conservare la memoria. Nicola è patrimonio vivente di Noci e del Paese intero. Facciamo in modo che la sua storia possa essere raccontata ancora, nelle scuole, nelle occasioni pubbliche. Che la sua voce possa giungere ai più giovani, perché ne traggano l’insegnamento necessario a fare in modo che quelle azioni terribili non si verifichino mai più».