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Tragedia del Mottarone, prof di Bitonto viva per miracolo: «Ero sulla funivia poco prima del disastro»

Tragedia del Mottarone, prof di Bitonto viva per miracolo: «Ero sulla funivia poco prima del disastro»

 
Mario Sicolo

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Mario Sicolo

Tragedia del Mottarone, prof di Bitonto viva per miracolo: «Ero sulla funivia poco prima del disastro»

Una docente pugliese salva per una questione di minuti

Mercoledì 26 Maggio 2021, 16:25

BITONTO - Dalla finestra dello studio, Carmela, ogni tanto, chiude i libri e si lascia incantare dalla «montagna gentile». La rapiscono, infatti, il dolce profilo del Mottarone e quel cubicolo d’acciaio che, salendo nel cielo, s’arrampica fino in cima. «In quattro anni che insegno qui, non avevo mai preso la funivia. Mi ha sempre fatto un po’ paura, ma domenica volevo fare un’esperienza diversa. Un leggero timore, confesso, e nulla più. Ho chiamato Francesca, la mia amica milanese, e ci siamo accordate per una escursione, anche approfittando della splendida giornata».
Dopo un anno e mezzo di quasi clausura, la professoressa Carmela Moretti, trentenne originaria di Mariotto, frazione di Bitonto, aveva voglia di un’escursione in libertà. Una giornata di allegra spensieratezza, che presto si sarebbe ammantata di terrore e angoscia.

«Siamo andate alla stazione della funivia di Stresa alle 10.30, ho avvisato mia madre del fatto che stavamo partendo e ci siamo accordate che ci saremmo risentite all’arrivo. Dopo la prima fermata ad Alpino, uno dei due tronconi della linea - continua a ricordare la docente - abbiamo fatto una passeggiata sul sentiero e, invece di visitare il giardino botanico, abbiamo poi deciso di risalire: alle 11.25 siamo ripartiti e siamo giunti in cima alle 11.37. In pratica, l’ultima corsa della funivia prima di quella fatale» E al pensiero le trema ancora la voce. Che continua a ricordare, con un brivido: «Durante il tragitto, non ho notato nulla di strano, solo in corrispondenza dei piloni notavo che ondeggiava un po’ la cabina, ma la mia compagna mi ha assicurato che era normale. Un signore si è guardato intorno e, ad alta voce, ha detto alla moglie: “Chissà, se dopo la pausa Covid, la manutenzione l’avranno fatta” e questo un po’ mi ha preoccupata. E sicuramente, col senno di poi, una frase del genere suona come sinistra profezia».

La natura, frattanto, tutt’intorno sfolgorava di bellezza: «Abbiamo ammirato il paesaggio stupendo: il monte Rosa innevato e lo scintillio del lago Maggiore con le sue due sponde, lombarda e piemontese. In vetta, abbiamo camminato fino alla grande Croce. C’erano tanti turisti, cicloamotori, giovani e bambini».
Poi, all’improvviso, la catastrofe: «Abbiamo visto, ad un tratto, l’elisoccorso volteggiare nelle vicinanze e sentito le sirene delle ambulanze riecheggiare senza posa, abbiamo notato tanta gente correre preoccupata. Ho percepito che era successo qualcosa, ma non potevo mai immaginare una tragedia di una portata così grande. Appena lo smartphone ha recuperato un po’ di campo, mi è giunta la telefonata di un’amica stresana, che voleva sapere come stessi. A quel punto, mi sono insospettita e le ho chiesto il perché di quella domanda. Ho capito tutto. È scoppiato il panico e ho pensato immediatamente ai miei genitori, che, una volta diffusasi la notizia, avrebbero potuto pensare subito al peggio. Tutti hanno preso a contattarmi. Sospeso il servizio di funivia, siamo scesi con un passaggio in auto da una coppia».

Ed è iniziato l’incubo di una comunità: «Siamo tutti scossi, qui a Stresa, perché quel rilievo montuoso elegante nessuno mai l’avrebbe potuto collegare a una tragedia così atroce. E la funivia è un mezzo di trasporto come un altro, qui, che si prende quotidianamente, al quale sono legati i ricordi di tanti».
È impossibile cancellare quattordici anime dilaniate in un sepolcro metallico accartocciato sul costone: «Lunedì, quando abbiamo dedicato in classe un minuto di silenzio per ognuna di quelle vittime, io e i miei alunni ci siamo abbracciati con gli occhi, uno di loro si è commosso fino a piangere sommessamente», e la prof Carmela gli ha asciugato la lacrima, con la grata tenerezza di chi, per miracolo, è sopravvissuta.

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