«Vorrei donare il plasma per mio padre, ma i protocolli vigenti me lo impediscono»: Maria Rita Marabello, manager di una multinazionale, rientrata da Madrid questa estate e ora in smart working, racconta una storia emblematica dei cortocircuiti che la pandemia crea sui territori. Suo padre Gaetano, scrittore e storico meridionalista, è da quasi tre settimane ricoverato al Policlinico di Bari con il Covid, e la figlia vorrebbe trasformare la disperazione e il dolore in partecipazione alla lotta per la guarigione, donando il proprio plasma, una delle possibili cure che alimentano le speranze in queste giornate piene di incertezze.
«Mio padre ora sta facendo anche la dialisi. Ho chiesto al primario del suo reparto, Pneumologia Covid, se fosse possibile la cura del plasma. Mi ha risposto - spiega la Marabello - che al momento non ne hanno. “Bisogna richiederlo”. Allora ho chiamato la Banca del sangue del Policlinico. Non mi ha risposto nessuno. Mi sono messa in auto e sono andata a citofonare all’ingresso della Banca. Ho fatto presente al dottor Ostuni il mio desiderio di donare per mio padre: “Sono disperata vorrei fare qualcosa per salvargli la vita”. Mi ha spiegato l’iter ed è emersa come precondizione l’essere in possesso di tampone positivo e poi negativo».
Qui inizia la seconda parte della storia, ovvero la condizione vissuta da Maria Rita: «Tutto inizia la seconda settimana di ottobre. Io e mio padre avvertiamo un po’ di tosse, senza febbre. Stessi sintomi per mia madre. Poi mio padre ha un febbrone per cinque giorni: il medico di base consiglia il ricovero. Siamo al 30 ottobre». Maria Rita ha richiesto invano l’intervento della Asl: «Io e mia madre abbiamo sollecitato tramite il medico di base il tampone alla Asl, avendo un caso Covid in casa. Dopo 18 giorni nessuna risposta. Non siamo mai stati contattati dalla Asl, né dalle Usca, nonostante sollecitazioni anche via mail».
La riflessione poi diventa un appello a intervenire umanizzare la sanità: «Siamo in un limbo, abbiamo fatto a pagamento un sierologico - i tamponi erano finiti anche privatamente -. Dal laboratorio di Capurso ci hanno detto che avevamo avuto il Covid e ora avevamo già sviluppato gli anticorpi. Volevamo intanto contattare mio padre in ospedale, ma dal reparto ci hanno detto che non hanno tablet attraverso i quali fargli arrivare la nostra vicinanza». La conclusione: «Faccio un appello affinché i reparti Covid possano avere mezzi adatti a far comunicare i famigliari con i congiunti degenti. E poi auspico che i protocolli per la donazione del plasma siano resi meno burocratici.
E’ assurdo non poter donare a causa del mancato intervento della Asl per il tampone. Basterebbe un po’ di buon senso...», chiosa Maria Rita.