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Bari, dopo il lockdown estorsioni a «basso costo»: piccoli tributi e piccole rate

 
LUCA NATILE

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LUCA NATILE

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La stagnazione delle attività economiche, a causa del lungo «coprifuoco,» ha messo in crisi interi settori gestiti dai clan. Gli episodi del San Paolo e di Santo Spirito sono solo la punta dell’iceberg

Domenica 26 Luglio 2020, 09:36

Crisi post pandemia e l’estorsione diventa «equa e solidale». La recessione dopo il lockdown sta mordendo alla gola l’economia e il commercio e cambiando il volto della Gomorra barese. Interi settori «produttivi» gestiti dai clan stentano ad uscire dall’immobilismo. E dopo la fase 3 ecco spuntare le estorsione a basso costo: piccoli tributi a piccole rate. La camorra barese ha capito che non conviene soffocare i «clienti» anzi approfittando della crisi di liquidità sta recitando il ruolo del benefattore, dello zio d’America. Poche centinaia di euro per volta, prestiti da restituire con cadenza più o meno regolare, un flusso modesto per ogni singolo versamento e senza una scadenza precisa, lasciando tutto nel vago.

Sistema «slow» Un sistema estorsivo ed usuraio «slow», che si propone come equo, solidale e sostenibile, nella logica del malaffare dal volto umano. Una strategia quella del «guinzaglio largo» per non soffocare i «clienti», dedicata in special modo a piccole imprese, botteghe artigiane, negozi, mini market. Le cose non stanno andando bene neppure per le famiglie di camorra più potenti, gli Strisciuglio, i Parisi, i Capriati, i Mercante-Diomede i Di Cosola.

I numeri Il distanziamento sociale ha provocato una flessione nell’andamento della delittuosità, riferita ai reati principali, che nel primo quadrimestre 2020 si è attestato al 31,17% rispetto allo stesso periodo del 2019. I casi di estorsione sono scesi del 23,44%. Da gennaio ad aprile le denunce sono state 49 rispetto alle 64 del primo quadrimestre dello scorso anno. La rilevanza del fenomeno è nei numeri evidenziati ad esempio dall’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia. I casi segnalati in Puglia tra la il 2015 e il 2019 sono stati 4028 ed hanno portato alla denuncia o all’arresto di 4988 presunti ricattatori. In una immaginaria classifica dei reati più denunciati, l’estorsione viene dopo solo rapine e ricettazioni.

Di nuovo al lavoro La fine del coprifuoco ha riaperto i recinti e i clan, come già detto, sono tornati al lavoro ridimensionando però le loro pretese. Il racket delle estorsioni e dei prestiti a tassi usurai è un fenomeno criminale in significativa ascesa negli ultimi anni, soprattutto in alcune zone ad alta densità mafiosa, che garantisce introiti sicuri e rappresenta un valido strumento di fidelizzazione della clientela. Il fenomeno è sempre più esteso, sfaccettato e radicato e non mira ad entrare solo nei negozi e nei cantieri, ma anche nelle famiglie e nella vita personale dei singoli individui. Domanda e offerta si incontrano in vari modi. I protagonisti sono solo gli esattori dei clan ma ci sono anche piccoli criminali che a volte mantengono a volte millantano contatti con la grande criminalità organizzata. Cedere al ricatto in alcuni casi può voler dire finire in una specie di buco nero, capace di inghiottire interi patrimoni.

Il caso del San Paolo Ma c’è chi dice no. Come i gestori della «Pizzeria da Nicola» in Zona Cecilia, Nicola, Raffaele e Stanislao che si sono rifiutati di piegarsi all’estorsione denunciano i loro ricattatori. Sono diventati testimoni di giustizia, hanno venduto l’attività e ricominciato altrove la loro vita. Altri al San Paolo hanno avuto lo stesso coraggio: imprenditori edili, titolari di pescherie e autoricambi. Si sono rifiutati di pagare e hanno continuato a lavorare mentre chi li aveva minacciati è finito in carcere. Battere il racket si può anche se il fenomeno è molto radicato.

L’analisi Ci può essere estorsione ed usura senza mafia a Bari, ma non può esserci mafia senza racket. E non ogni forma d’estorsione e di usura è racket. Il racket del pizzo nella città dei 12 clan (la relazione semestrale della Direzione distrettuale antimafia inserisce nella categoria le famiglie di camorra Strisciuglio, Misceo, Mercante-Diomede, Fiore-Risoli, Anemolo, Di Cosola, Lorusso, Palermiti-Parisi, Di Cosimo-Rafaschieri, Capriati e Velluto, alcune in auge altre sul viale del tramonto) ha caratteristiche e regole che, lo distinguono dalle semplici attività estorsive. Regola prima. Il racket non ricatta «una tantum» ma secondo scadenze regolari (ogni mese, ogni cinque, con le feste comandate, Natale, Pasqua, Ferragosto). Regola numero due: «Pagare tutti per pagare meno», se in un quartiere ci sono cento esercizi commerciali, cento cantieri edili, la richiesta di pizzo non può essere fatta solo a dieci di loro. Regola numero tre. L’importo della «tassa» deve essere proporzionale alle dimensioni dell’impresa ricattata. I clan non possono fare a meno di queste entrate perché non possono fare a meno del racket. Il racket è il momento in cui si realizza l’identità della mafia e del mafioso, è l’essenza stessa della mafia: forza di intimidazione, carisma, potere di controllo.

L’infiltrazione Il problema per la vittima non è solo quello di cedere una parte del proprio reddito ma attraverso il pizzo e la restituzione del prestito, lasciare entrare la malavita in azienda. L’estorsore e il cravattaro possono a un certo punto avanzare altre pretese, magari chiedere di entrare in società con una quota di denaro sporco. Si crea così un secondo livello più profondo di contaminazione. Il passepartout utilizzato dalla malavita per entrare nel mondo della imprenditoria locale spesso è proprio il piccolo ricatto. «Le estorsioni - afferma la Dia - costituiscono a Bari ancora la più emblematica forma di controllo del territorio. Nel caso in cui sono riconducibili a bande di giovani delinquenti, vengono spesso realizzate in forma violenta, anche ricorrendo all’uso delle armi. Sostanzialmente diversi appaiono, invece, - spiegano gli analisti - i metodi adottati dai più alti livelli criminali, che mirano ad acquisire posizioni di monopolio o il controllo economico del territorio».

L’usura Il confine tra estorsione ed usura a volte è molto labile. Chi non versa la prima rata della protezione, deve versare la seconda con gli interessi che crescono per ogni ritardo di pagamento. E poi ci sono i dati. Nel bilancio delle imprese del commercio, sotto la voce «oneri fissi», insieme a taccheggio, furti e rapine ci sono anche e soprattutto estorsioni ed usura. Fenomeni criminali che continuano a pesare in maniera insopportabile sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del mondo del commercio barese. Stando ad una indagine della Confcommercio, realizzata con il supporto di GfK Italia (istituto di ricerca su mercato e consumatori) l'effetto di questi reati starebbe provocando sui fatturati delle imprese perdite di milioni di euro.

Imprenditori vittime La ricerca ha permesso di stabilire che ben il 58% degli imprenditori pugliesi e in particolare della provincia di Bari avrebbero avuto una esperienza diretta o indiretta con la criminalità (il dato nazionale è fermo al 23%). Il 40% dei baresi avrebbe percepito un peggioramento nei livelli di sicurezza, con il 61% convinto che i furti siano aumentati (rispetto al 47% nazionale). Il 43% avrebbe paura delle rapine (contro il 33% nazionale), il 26% dell'usura (18%), ben il 29% delle estorsioni (in Italia il dato è fermo al 16%). Tra i commercianti che hanno dichiarato di essere stati oggetto di minacce o intimidazioni dirette, in testa ci sono i gestori di negozi alimentari (1 1%) seguiti dai responsabili di pubblici esercizi con il 10 %, venditori ambulanti e benzinai.

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