La dura la vita dei ciclofattorini, tartassati, sfruttati e con poche tutele. Ora le loro storie sono in un dossier Bari. Il bisogno di lavorare li ha spinti a sfidare la desolazione di una città rintanata per il lockdown. Molti sono rimasti senza occupazione, alcuni hanno continuato a muoversi come spettri nelle strade deserte per consegnare le buste della spesa. Durante la Fase 2 hanno ripreso a pedalare come fossero al Giro d’Italia. I carabinieri del Comando Tutela Lavoro e di tutti i Comandi provinciali dell'Arma sul territorio nazionale, hanno intervistato nei giorni scorsi oltre mille «rider», i fattorini dei servizi digitali di consegna, collegati alle principali piattaforme virtuali del «food delivery» (cibo a domicilio), con lo scopo di acquisire informazioni che confluiranno in un fascicolo d’inchiesta. Le indagini, delegate dalla Procura della Repubblica di Milano, riguardano la gestione del rapporto di lavoro da parte delle piattaforme anche nella città di Bari. A mettere in moto la macchina investigativa alcune denunce che hanno portato a galla il fenomeno del caporalato con lavoratori, spesso migranti richiedenti asilo politico, costretti a cedere una parte del guadagno e a piegarsi alla logica del «senza orario». Protagonisti dell’indagine anche i carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Bari che rapidamente e in maniera molto efficace hanno raccolto «su strada» la voce una trentina di lavoratori, censendo una serie importante di informazioni sulle condizioni reali di vita, sulle modalità di svolgimento del servizio e le forme di tutela loro garantite, sia sotto il profilo della sicurezza che sanitario da almeno 3 piattaforme digitali ben rappresentate a Bari.
Diversi i riscontri raccolti sulla situazione nel capoluogo, tutti molto interessanti e trasmessi alla Procura di Milano, sui quali però gli investigatori del Nil mantengono per il momento un riserbo molto stretto. Mentre si sviluppa questo filone di indagine la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto il commissariamento di «Uber Italy srl», la filiale italiana del gruppo americano per il presunto sfruttamento dei fattortini addetti alle consegne di cibo per il servizio «Uber Eats». Su Uber Italy è in corso un'indagine condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf e coordinata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci e dal pm Paolo Storari. Dopo questo commissariamento che ha avuto le sue ripercussioni anche a Bari, la società americana ha così commentato: «Uber Eats ha messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali. Condanniamo ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia».
Il «sistema rider» dunque, che per molti aspetti nelle dinamiche di arruolamento, di retribuzione e nella mancata tutela dei diritti dei lavoratori sembra seguire le stesse dinamiche del capolarato, è sotto la lente di ingrandimento delle Procure. Pagati una miseria, a volte costretti ad implorare per ricevere quanto pattuito, a Bari la loro storia è caratterizzata anche dalla violenza. Numerose sono state le segnalazioni pervenute ai numeri di pronto intervento delle forze dell’ordine di rapine e aggressioni. La più recente risale alla sera di Pasqua quando un giovane di 21 anni, affacciato al balcone di casa nel quartiere Madonnella ha preso a pistolettate (per fortuna mancandolo) un ciclofattorino che si era permesso di poggiarsi alla sua auto.
Altro episodio clamoroso risale al mese di luglio dello scorso anno. Raza, un rider pakistano di 33 anni è stato aggredito e rapinato da una banda di giovani delinquenti del San Paolo che lo avevano attirato in trappola ordinando dei panini.