BARI - «Siamo stati sempre convinti che fare il medico fosse una professione stabile e ben retribuita e per alcuni addirittura un riscatto sociale. Questa ormai è solo una leggenda. Medici laureati, abilitati alla professione, si trovano nell’imbuto formativo e vivono nell’assoluta precarietà». Il motto «niente è più come prima» era valido anche prima della pandemia quando molte cose erano cambiate (in peggio) stando a quanto raccontano i giovani medici freschi di laurea.
Ieri mattina i neo-camici bianchi hanno manifestato in modo silenzioso, distanziati tra loro in piazza Giulio Cesare all’ingresso principale del policlinico. In 21 piazze italiane, in contemporanea, si protestava perché i medici laureati non possono di fatto frequentare i corsi di specializzazione, essendo obbligati a dover sostenere un concorso per l’ammissione. Molti vedono preclusa la possibilità di formarsi professionalmente. «L’imbuto formativo», così lo definiscono. Un collo di bottiglia attraverso cui passano in pochi. Eppure c’è penuria di medici, come dimostrato dall’emergenza Covid-19. Dal 2018 al 2025, in Puglia andranno in pensione oltre 3mila medici specialisti, sostituiti da 2400 neo specialisti. Non basteranno.
«È un loro diritto e non è un sogno, come dichiara il ministro della Salute, Roberto Speranza, si parla tanto dei medici come degli eroi ma gli eroi vanno formati», dice Carlo De Matteis medico chirurgo laureato a luglio 2019, in attesa del concorso di ammissione a una scuola di specializzazione e loro portavoce. Il concorso delle scuole di specializzazione ha in palio un numero di borse di studio nettamente inferiore al numero dei medici e professionisti che vi partecipano. «Oltre 10mila colleghi ogni anno rimangono privi di una borsa di studio e non possono frequentare una scuola di specializzazione. Pertanto, ancora per un altro anno non potranno formarsi».
Si ritrovano tra guardie mediche, sostituzioni dei medici di medicina generale, eventi sportivi che al momento sono fermi o il lavoro nelle Rsa. Stefano Pellicani si è laureato il 27 marzo 2019. Si racconta così: «Siamo medici abilitati non specializzandi e i compiti che possiamo svolgere sono esclusivamente la guardia medica e la sostituzione dei medici di base. Non chiediamo nulla se non potere studiare per formarci professionalmente». Spiega: «Ho finora sostituito i medici di base prima dell’emergenza covid. È il collega stesso che ci retribuisce come prescrive la norma».
Per lavorare in un pronto soccorso serve la specializzazione in medicina o chirurgia d’urgenza ma se non possono far parte del corso il futuro è precluso. In questo periodo di emergenza molti sono stati impegnati in attività domiciliari o in guardie mediche, in strutture con pazienti covid non gravi o in alcune Rssa.

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Maurizio Gramegna di Bitetto, specializzando in anestesiologia e rianimazione ce l’ha fatta ma è qui che solidarizza: «La carenza di medici nell’emergenza covid ha indotto a richiamare in servizio colleghi ultra70enni o sbattuti in prima linea medici neo abilitati senza alcuna formazione. Nel prossimo concorso avremo 24mila partecipanti per 12mila borse di studio. Le restanti 12mila persone resteranno escluse». Racconta: «Ci sono società che offrono servizi sanitari con piccole postazioni di emergenza nei porti e aeroporti. Sono contratti a partita iva di 9 euro l’ora per turni di 12 ore e 40 o 48 ore a settimana ma il nostro è un lavoro in cui hai nelle mani la vita di una persona».