BARI - La Cina era più vicina di quanto si potesse pensare, e ora che il coronavirus la sta allontanando anche il sistema produttivo di Bari rischia di pagare un conto salatissimo.
Vede le streghe non solo, e non tanto almeno per il momento (ne parliamo più specificatamente sotto), il turismo pugliese, che già pregustava il boom di visitatori grazie all’annunciato volo diretto Bari-Shanghai, su cui incombe il blocco dei collegamenti deciso dal governo.
Potrebbero finire in ginocchio fiori all’occhiello dell’industria locale, di settori diversi: dalla meccanica all’agroalimentare. Le prime avvisaglie della crisi ci sono già. La contrazione degli scambi commerciali è iniziata e non fa dormire sonni tranquilli agli imprenditori nostrani. Sono in affanno sia le aziende che importano prodotti dalla Cina che quelle che li esportano.
Il peso del gigante asiatico sulla bilancia commerciale è cresciuto negli anni in modo esponenziale. Oggi è un partner troppo importante per le economie di molti Paesi, Italia compresa.
Confindustria Bari-Bat monitora costantemente l’evolversi della situazione e non nasconde i timori. «La Cina è ormai la “fabbrica del mondo” e, per le aziende del nostro territorio, i problemi causati dal coronavirus riguardano sia l’import che l’export», sottolinea il presidente Sergio Fontana.
Due ordini di difficoltà che si intrecciano. Il primo riguarda l’approvvigionamento. «Iniziano a scarseggiare - spiega Fontana - le materie prime e i semilavorati che arrivano da noi per essere utilizzati soprattutto nell’industria meccanica ed elettromeccanica».
Il secondo problema attiene al percorso inverso delle merci. «Molte nostre aziende esportano in Cina - ricorda Ranieri - e una lunga paralisi del mercato potrebbe danneggiarle non poco». L’allarme è confermato da una semplice osservazione. La movimentazione dei container destinati alla Cina si è ridotta.
«Sappiamo dalle imprese del settore che la movimentazione delle merci diminuisce giorno dopo giorno. Di questo passo - avverte il numero uno degli industriali baresi - si rischia un blocco dalle conseguenze molto serie per chi opera in questo campo».
È la spia di una situazione che, a cascata, investe gli altri comparti. «Si profila una grave crisi per tutte le nostre imprese che hanno nel grande mercato cinese un approdo per i loro prodotti», osserva Fontana.
E non c’è solo il lusso nell’occhio del ciclone scatenato dal virus. O il tessile-abbigliamento di alta gamma. Trema pure l’agroalimentare. Prodotti cerealicoli, vino, olio, conserve trovavano sempre più apprezzamento tra i consumatori cinesi, specie tra quelli della nuova borghesia benestante, che aprono volentieri il portafogli per assicurarsi i simboli gastronomici del made in Italy e del made in Puglia.
«Diverse nostre imprese esportano in Cina pane e pasta e le preoccupazioni non mancano», conferma Sergio Fontana.
Ma quali possono essere le soluzioni per fronteggiare la crisi? Il presidente di Confindustria Bari-Bat non ha ricette nel cassetto. «Non vedo soluzioni immediate - rimarca - se non quella di affidarsi alla ricerca scientifica per la lotta al virus, per trovare i farmaci più efficaci e, magari, arrivare a un vaccino. Purtroppo, però, non è possibile prevedere tempi certi».
Intanto, qualche azienda sta già pensando alle alternative al mercato cinese per l’approvvigionamento di materie prime e semilavorati. Si guarda a India, Bangladesh e ad altri Paesi. Ne va della sopravvivenza delle imprese. Ma, anche in questo caso, le soluzioni non sono semplici, né immediate.