BARI - Un grave incidente stradale, un calvario tra tre diversi ospedali del Barese concluso al Policlinico, dove un 40enne di Altamura è morto nell’aprile 2015. Ma la causa del decesso, ha stabilito il Tribunale di Bari, è da ricondursi ai traumi riportati durante lo scontro e non all’imperizia dei medici, accusati dalla famiglia di non aver gestito correttamente le fratture e di non essersi accorti in tempo di una lesione al fegato. Per questo il gip Gianluca Anglana ha archiviato le accuse di omicidio colposo nei confronti di 14 medici (assistiti tra gli altri dagli avvocati Beppe Modesti, Salvatore D’Aluiso e Antonio Maria La Scala) in servizio all’epoca dei fatti tra il «Perinei» di Altamura e il «San Paolo» e il Policlinico di Bari.
Il giudice ha così accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pm Grazia Errede, dopo che già una prima volta era stato disposto un supplemento di indagini sulla base del contrasto tra le perizie dei consulenti dell’accusa e di quelle presentate dalla famiglia dell’uomo, tanto da arrivare a un incidente probatorio in cui sono stati ascoltati, come esperti, il direttore della Clinica chirurgica dell’Università di Chieti e un associato di medicina legale dell’Università di Ferrara. Entrambi hanno escluso responsabilità a carico dei medici.
Subito dopo l’incidente la vittima era stata ricoverata in Chirurgia al «Perinei» di Altamura, con una serie di gravi fratture (femore, anca, sterno). Dopo circa una settimana l’uomo ha lasciato volontariamente l’ospedale - contro il parere dei medici - e si è presentato al pronto soccorso del San Paolo, dove è stato ricoverato in ortopedia e messo in trazione: cinque giorni dopo è stato dimesso con una ingessatura. Dopo altri 5 giorni si è presentato al Policlinico di Bari per la presenza di sangue nelle feci: ecografia e gastroscopia hanno accertato una lesione al fegato che, a fine marzo, ha richiesto un nuovo ricovero in Chirurgia per il trattamento di embolizzazione. Un mese dopo, il giorno della morte, la Tac evidenziava però una massiccia trombosi.
«Approcci diagnostico-terapeutici diversi o più tempestivi - scrive il gip - non avrebbero impedito, né ritardato in modo ragionevolmente significativo, la morte del paziente». Secondo i due periti, infatti, l’uomo è deceduto per una tromboembolia e non per una emorragia, e dunque la morte è «da mettere in relazione causale con il trauma provocato dall’incidente». Nessun ritardo, dunque, nella diagnosi della lesione epatica che «non era individuabile al momento del primo e del secondo ricovero perché di entità troppo modesta», e comunque imprevedibile al momento del ricovero iniziale. [red.reg.]