BARI - Si stima che dagli anni 50 ad oggi si siano prodotti nel mondo 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, di cui 6,3 miliardi sono diventati rifiuti. Insomma, in quasi 70 anni siamo stati travolti da una montagna o, se se preferite, da un oceano di macroplastiche e microplastiche, finite peraltro in mare in enorme quantità: nel primo caso (frammenti inferiori ai cinque millimetri) ad aggiungersi ogni anno è un quantitativo medio di 100mila tonnellate; nel secondo (il più visibile: pensate per esempio alle bottiglie: solo l’Italia ne produce annualmente 4.720 miliardi, rilasciando nelle acque costiere 132mila tonnellate), l’incremento oscilla tra le 150 e le 500mila tonnellate, l'equivalente di 66mila camion di rifiuti. Comprenderete quale sia l'emergenza ambientale in un pianeta in cui si producono 350 milioni di tonnellate di plastica ogni 12 mesi, con l'Asia a far la parte del leone (la metà del totale), trainata dalla Cina (da sola ne produce un terzo).
L'Europa, però è uno dei maggiori... contribuenti (con 60 milioni di tonnellate prodotte), tanto che, a un certo punto, l'Unione europea ha finalmente iniziato prima a porsi il problema, poi a studiare come arginarlo e quindi a preparare una serie di misure per cercare di porre almeno un freno a questa invasione. Il risultato è la direttiva che vieta dal 2021 gli oggetti monouso (piatti, posate, cannucce), individuati come i maggiori responsabili dell'inquinamento, soprattutto marino. Dopo la pubblicazione in Gazzetta, gli Stati membri avranno infatti due anni per recepirla, con le misure che entreranno in vigore gradualmente. Il divieto riguarderà da subito anche bastoncini cotonati, agitatori per bevande, bastoncini per palloncini, i prodotti realizzati in oxo-plastica, coppe, contenitori per alimenti e bevande in polistirolo espanso.
Poi, dal 2023, i produttori di contenitori per alimenti e bevande, bottiglie, tazze, pacchetti e involucri, sacchetti leggeri e sigarette con filtro dovranno contribuire a coprire i costi della gestione e della pulizia dei rifiuti oltre che garantire raccolta di dati e misure di sensibilizzazione. Entro il 2029, gli Stati dovranno raggiungere una raccolta delle bottiglie di plastica del 90%, un segmento di grande interesse per l'Italia: è il primo Paese in Europa e il secondo al mondo per consumo di acqua in bottiglia, con una media di circa 200 litri l'anno per persona. Il giro d'affari è di 10 miliardi di euro per un settore che consente un margine di guadagno considerevole, visti i bassi costi di realizzo (anche grazie ai convenienti canoni di concessione...). La stessa alta reditività proviene dalla plastica monouso (il Belpaese è il principale produttore europeo: un miliardo di fatturato, con un consumo pro capite in Italia di quasi due kg ogni anno): è quasi pari a quella del greggio, una miniera d’oro per le sei imprese che si spartiscono i tre quarti del mercato interno (il 50% è in mano a due sole aziende).
IL RICICLO Aumentare la raccolta differenziata è il... verbo degli ambientalisti, e ormai di tutti gli schieramenti politici (anche di quelli sensibili agli interessi delle aziende di trattamento...). Se non fosse che non tutta la plastica raccolta può essere riciclata. L'Italia è prima in Europa per recupero dei rifiuti (79% della raccolta complessiva, a pari merito con la Germania). Ma (ci fa sapere il Corepla, Consorzio nazionale per la raccolta degli imballaggi in plastica), nel nostro Paese nel 2017 solo il 41% degli imballaggi raccolti è andato al riciclo (il resto è finito nei termovalorizzatori e in discarica), e di questo 41% non tutto è trasformato in nuovo prodotto, ma solo il 70%. Il residuo 30% non può essere riciclato perché non c'è ancora la tecnologia per farlo. La plastica, infatti, non è un unico materiale, come il vetro o la carta, ma una famiglia di polimeri diversissimi fra di loro. Nei cassonetti sono mischiati frammenti di tante molecole che spesso non possono essere rimessi insieme. Inoltre, molti imballaggi sono fatti con diversi tipi di plastiche, solo alcune riciclabili. E se i macchinari negli impianti di riciclo non riescono a separare i polimeri nei rifiuti, finiscono per scartarli. Occorrerebbe che gli imballaggi venissero progettati per essere riciclabili, evitando i multimateriali e i polimeri non riutilizzabili. Inoltre, anche quando viene riciclata, la plastica non viene utilizzata per gli stessi oggetti, ma per oggetti di valore inferiore. Gli imballaggi per gli alimentari ad esempio non possono essere riutilizzati per i cibi. Il che vuol dire che il riciclo, anche se fosse portato al 100%, non eliminerebbe la necessità di produrre nuova plastica. A meno di non eliminare del tutto l'usa e getta. Appunto...
I NUMERI Per capirne la portata, è sufficiente evidenziare i dati (riferiti al 2017) del Rapporto sui rifiuti urbani 2018, elaborato dal Centro nazionale dei rifiuti e dell'economia circolare dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). La produzione totale di rifiuti urbani in Italia è di quasi 30 milioni di tonnellate (29.587.660 per la precisione, 1.876.335 delle quali in Puglia, con una produzione procapite di 463,5 chilogrammi), di cui oltre 16 milioni (16.429.970, il 55,5 per cento del totale) raccolte in modo differenziato (758.740 in Puglia, pari al 40,4%, sei punti in più rispetto al 2016). Solo per la metà del quantitativo è possibile dunque avere le percentuali delle singole frazioni merceologiche. La plastica con 1.273.370 tonnellate rappresenta «solo» il 7,8 per cento della torta complessiva (l'organico è al 40,3 per cento) e però incide per il 39,5% sul dato complessivo della raccolta multimateriale.
In Puglia si sono raccolte nel 2017 con la differenziata 75.580 tonnellate di plastica (18,7 chili per abitante), nella provincia di Bari 23.718 su una produzione complessiva di rifiuti urbani pari a 584.455 tonnellate, di cui 276.732 raccolti con la differenziata (47,4 per cento; fanno meglio percentualmente la provincia di Brindisi e la Bat, che hanno un terzo della popolazione). In quanto alla città di Bari, la produzione dei rifiuti urbani è di 97.036 tonnellate, la raccolta differenziata è pari a 78.683 tonnellate (39,9% in lento progressivo aumento negli ultimi anni), di cui 5.273 relative alla plastica. Concludendo, una considerazione deve aiutare a comprendere: nella ripartizione del quantitativo di rifiuti urbani avviato al riciclaggio, se la frazione organica raggiunge il 41,3% (seguono carta e cartone col 26% e i vetro con il 16,2%), la plastica si attesta sul 5%.
LIBERI DALLA PLASTICA Si capisce dunque quanto sia fondamentale per il nostro futuro agire per ridurne considerevolmente l'uso. Sono fondamentali il senso civico sia per il corretto conferimento dei rifiuti sia per impedire lo scempio degli abbandoni nelle campagne e nei mari. Ma determinante sarà abbattere la produzione. Parallelamente alle restrizioni approvate in Europa, da recepire anche in Italia, si moltiplicano intanto le iniziative istituzionali per mettere al bando almeno la plastica monouso. Sono sempre di più i Comuni «plastic free», soprattutto le località balneari (tra cui le Isole Tremiti e Otranto). Bari, ad esempio, dal gennaio scorso ha deciso di eliminare posate, piatti e bicchieri dalle mense scolastiche. I 5300 studenti che usufruiscono del servizio utilizzano prodotti che possono essere smaltiti insieme alla frazione umida dei rifiuti. Inoltre, anziché per i kit imbustati, si è optato per le posate sfuse, così da utilizzare durante i pasti solo quelle effettivamente necessarie ed evitare l’utilizzo degli involucri di plastica. Il prossimo passo sarà quello di eliminare le bottiglie di plastica: per ora sono sparite quelle da 0,5 litri, ma l'intenzione è passare alle brocche d’acqua.
















