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Gentiloni alla "Gazzetta": «Se il governo cade c'è il voto. Il Pd deve ripartire in fretta»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Gentiloni alla "Gazzetta": «Se il governo cade c'è il voto. Il Pd deve ripartire in fretta»

l'onorevole Gentiloni tra Giusy Servodio e Giuseppe De Tomaso

L'ex premier non è d'accordo sull'ipotesi del ritorno di un governo tecnico

Giovedì 22 Novembre 2018, 13:19

13:20

Paolo Gentiloni (Pd), già presidente del Consiglio e ministro, ieri a Bari per la presentazione del suo ultimo volume, «La sfida impopulista» (Rizzoli, 2018) e a colloquio con il direttore Giuseppe De Tomaso nella redazione della «Gazzetta».

Che tipo di sfida lancia ai gialloverdi?
« È una sfida nel metodo e nel merito. Nel metodo perché, come ormai hanno compreso i democratici americani, se vogliamo battere Trump non gli dobbiamo assomigliare ».

E nel merito?
«Bisogna essere consapevoli dei pericoli che questa ondata populista comporta. E non solo dal punto di vista economico. Anche la qualità delle nostre democrazie è a rischio. Quindi, l’onda va fermata senza assecondarla o cavalcarla».
Nel breve periodo, però, è il dato economico-finanziario a pesare. Bruxelles ha bocciato la Manovra come da pronostico. Che succede ora?
«Mi auguro si vada verso una correzione. E cioè verso la ristesura di una Manovra più rispettosa delle regole europee ma anche in grado di premiare chi crea lavoro. Nel testo attuale, non solo non c’è una lira per le imprese ma si tolgono loro 6-7 miliardi».
Il nodo resta il reddito di cittadinanza?
«Guardi, il reddito di inclusione, da noi realizzato tardivamente e senza poterci mettere di più di due miliardi e mezzo, stava iniziando a dare i suoi frutti. Sarebbe stato sufficiente potenziarlo e invece si continua a insistere su una misura che non realizzeranno e i cui dettagli tecnici sono oscuri perfino agli stessi grillini. Ma il motivo è semplice: continuando a far aleggiare la promessa si illudono di conservare i consensi al Sud. Ma è un errore».
Torniamo alla Manovra. Il governo «tira dritto».
«Questa logica del tirare dritto, così come quella del “molti nemici molto onore” mi sembra pericolosa. L’Italia è isolata come forse non lo è mai stata nella sua storia e uno spread così alto è insostenibile. Puoi reggere la febbre a 39 per qualche giorno ma non per mesi».
Renzi profetizza che torneranno i tecnici. Bersani immagina invece un governo politico, ma con contenuti alla Monti. Rischi reali?
«La Storia non si ripete mai identica a se stessa. È difficile assistere allo stesso spettacolo di sette anni fa. Se il governo dovesse cadere io penso che l’unica soluzione sia andare a votare».
Qualcuno parla di 5 Stelle «responsabili» che potrebbero appoggiare un esecutivo Salvini di centrodestra. L’ipotesi regge?
«Mi convince poco, onestamente».
E una convergenza fra grillini e Pd? Zingaretti, che lei sostiene alle primarie, potrebbe essere l’uomo giusto.
«Dopo quanto fatto in questi mesi dall’attuale esecutiv, mi sembra impossibile che il Pd possa giungere in suo soccorso. Ed anche che una parte dei grillini si faccia assorbire mi pare irrealistico. Lo ripeto, la crisi porta a nuove elezioni. È l’aria che tira in Europa».


Restiamo in casa dem. Con sette candidati alle primarie, il partito non rischia di frantumarsi?
«Non mi preoccupa il numero, ma i tempi. In Germania il dopo Merkel è già iniziato, qui siamo in alto mare. Spero tutto si concluda il più preso possibile perché l’Italia ha bisogno di una opposizione forte e incisiva»
Nel 2019 si voterà per le Europee. È davvero una tornata campale?
«Il famoso “tiriamo dritto” del governo trova fondamento nell’idea che a maggio cambierà tutto con un rinnovamento profondo dei vertici europei. È una leggenda metropolitana. Stando ai sondaggi, i populisti non dovrebbero incassare più di 100 deputati su 705. Quanto i Verdi. E certamente molto meno di popolari, socialisti e liberali».
Quindi esclude la necessità di creare un «blocco democratico» europeista?
«Direi di sì. Le grandi famiglie politiche sono alternative fra loro, anche se condividono dei valori comuni. Nessuna alleanza. Parlerei piuttosto di eventuali “intese fra diversi” nella gestione di Parlamento e Commissione».
A proposito di Commissione, qualcuno ha fatto il suo nome come possibile successore di Juncker. Dobbiamo considerarla in corsa?
«Il successore di Juncker sarà un democristiano tedesco. Il resto è fantapolitica».

(foto Luca Turi)

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