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L’Europa dà i numeri
l’Italia fa marketing

 
GIUSEPPE DE TOMASO

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GIUSEPPE DE TOMASO

L’europa dà i numeril’italia fa marketing

Lunedì 02 Aprile 2018, 10:28

11:13

di GIUSEPPE DE TOMASO

Gli italiani non nutrono un affetto particolare verso la matematica. Lo dimostra la scarsa considerazione da loro riservata ai conti pubblici. Che cos’è infatti l’economia se non l’applicazione pratica dei principali postulati aritmetici? Evidentemente, il richiamo alle leggi sui numeri non trova ascolto tra le orecchie del Belpaese, visto che ogni riferimento al rispetto dei conti viene ritenuto un oracolo iettatorio o, peggio ancora, un esercizio a beneficio di chi non vorrebbe il bene dell’Italia. Il dubbio che le leggi matematiche e le leggi economiche si sovrappongano come l’estate e il bel tempo assale solo poche persone. La stragrande maggioranza della popolazione, tra elettori ed eletti, ritiene, tuttora, che l’economia sia una variabile indipendente, che il debito pubblico possa crescere all’infinito e che la creazione della ricchezza sia un evento naturale come l’alba o il tramonto, fenomeni non riconducibili agli esseri umani.

Si ripete spesso, soprattutto dopo la crisi che, negli ultimi dieci anni, ha investito il mondo del credito, il concetto che agli italiani fa difetto la cultura finanziaria. Vero, verissimo. L’alfabetizzazione finanziaria non è diffusa sullo Stivale. Ma agli italiani fa difetto anche la cultura economica più elementare, quella che si esprime, per capirci, attraverso operazioni ultra-semplici: il dare e l’avere, l’addizione e la sottrazione.

L’Europa non è un consesso di sanguisughe intenzionate a fare concorrenza a Dracula. Se l’Europa chiede ai suoi soci di onorare gli impegni presi, rispettando le logiche di bilancio, ciò significa solo che i suoi dirigenti non hanno dimenticato la matematica, la più anti-ideologica e la più neutrale tra le discipline.

E quando il calcolo matematico aziona il campanello d’allarme di fronte all’allargamento della spesa pubblica improduttiva (cioè del debito), buon senso vorrebbe che non si girasse la testa dall’altro lato, spesso con un plateale moto di fastidio. Perché quelle cifre odiose e dolorose parlano di noi, della nostra indole, dei nostri peccati, dell’incoscienza nazionale di fronte alla cruda realtà dei numeri; raccontano dell’indifferenza massificata nei riguardi delle leggi algebrico-economiche.

Ma l’Italia è un Paese originale (diciamo). Se la matematica è ostica e bandita, il marketing è piacevole e benedetto. Tutto è marketing nella nazione che seguiva le scene pubblicitarie di Carosello manco fossero le trasmissioni-vangelo di Piero Angela. Tutto è comunicazione, promozione, illusione. sulla Penisola.

L’Europa ci ricorda le cambiali da pagare, la legge Fornero da perfezionare, l’età pensionabile da innalzare ancora, la spesa pubblica da limare? Bene, l’Italia risponde con il reddito di cittadinanza e la flat tax da introdurre. E i soldi? Pazienza. E i calcoli del professor Tito Boeri, presidente dell’Inps, che fissa in 38 miliardi annui la somma necessaria per poter inviare l’assegno di sostegno a tutti? Chissenefrega. E poi, si obietta, il costo sarebbe di soli 15 miliardi, sempre annui (come se queste risorse si trovassero dietro l’angolo).

E la flat tax? Il progetto (aliquota Irpef al 15% per quasi tutti) caro a Matteo Salvini comporterebbe un taglio di entrate, per lo Stato, di circa 56 miliardi di euro l’anno. Una cifra choc. Che se fosse sommata ai 38 miliardi necessari per finanziare il reddito di cittadinanza porterebbe il costo complessivo delle due proposte a quasi 100 miliardi di euro. Roba da infarto solo a scriverne.

L’Europa non gode di buona reputazione in Italia. È malvista da cittadini e governanti perché evoca la maestra severa che fa sentire il fiato sul collo agli studenti più pigri. L’Europa è accusata di voler limitare la sovranità dei singoli Stati, seguendo per certi versi la dottrina Breznev che l’Urss applicava agli altri Paesi comunisti aderenti al Patto di Varasavia.

Ma, come ha ricordato pochi giorni addietro il professor Nicola Rossi (Istituto Bruno Leoni), il concetto di sovranità non è un’astrazione: più uno Stato è indebitato, meno è padrone a casa propria. Il debito e la sovranità limitata sono due facce della stessa medaglia.

Da un lato si chiede, più o meno arditamente, all’Europa di concedere più autonomia (leggi più flessibilità, cioè più debito) nei conti pubblici, dall’altro s’invoca più sovranità. Ma i due concetti sono più incompatibili di Alba Parietti e Selvaggia Lucarelli, due signore tv che, sole in un ascensore, si azzannerebbero come due belve.
Manca solo che si arrivi alla teorizzazione ufficiale (quella pratica c’è già) che la spesa pubblica improduttiva sia un bene e che la spesa privata produttiva sia un male: così il sovvertimento delle più elementari leggi economico-aritmetiche potrebbe ritenersi definitivo.

Non sappiamo quando e se si darà vita al nuovo governo. Sappiamo solo che non sarà facile il rapporto con l’Europa. I due vincitori (Luigi Di Maio e Matteo Salvini) mostrano insofferenza nei confronti dei vincoli dell’Unione, né intendono rinunciare al pezzo forte del loro specifico programma elettorale.

E il debito pubblico, come cercheranno, i due vincitori, di disinnescare una miccia che rischia di riportare in alto lo spread con il resto d’Europa? O dovranno, giocoforza, rinunciare ai loro piani programmatici o dovranno imporre una patrimoniale lacrime e sangue, con effetti depressivi su una ripresa economica che meglio sarebbe etichettare come ripresina.
Ci potrebbe essere una terza soluzione: il ripudio del debito pubblico. Un atto dalla doppia valenza eversiva. Uno, perché dal 1861 lo Stato italiano ha sempre onorato gli impegni con i suoi creditori, se adesso cambiasse musica, la sua credibilità precipiterebbe sotto i tacchi. Due, perché i due terzi del debito pubblico è nei portafogli di prestatori italiani. Il ripudio del debito si trasformerebbe in una mega-stangata sui creditori italiani, in una gigantesca tassa, dai contorni espropriativi, sull’economia nazionale.

Di conseguenza, meglio lasciar perdere il solo pensiero di una forma di ripudio del debito pubblico.
Prepariamoci, allora, a un estenuante corpo a corpo tra Italia e Europa. Con l’Italia che, a breve, non potrà più contare sulla benevolenza della Bce di Mario Draghi.

Giuseppe De Tomaso
detomaso@gazzettamezzogiorno.it

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