La vita dei curiosi ha quasi sempre in sorte la serendipità, che illumina storie non cercate, ritrovate aspettandosi tutt'altro, squarciando casualmente gli involucri che il tempo costruisce attorno ai fatti.
Cercavamo un uomo a cui dedicare il nuovo potabilizzatore di Conza, e non appena un racconto dolcissimo ha impartito la prima fenditura all’oblio in cui una storia si era cacciata, è riemersa una vicenda umana con un epilogo carico di tragica bellezza.
Leone Cuozzo era nato il 29 gennaio 1927.
Il suo ultimo respiro durò molto a lungo, impiegando quasi una settimana per spegnersi: quella dal 23 al 29 novembre 1980, i giorni più catastrofici ed intensi del terremoto in Irpinia.
Tutto si compì in quella settimana.
Cuozzo è emblema, celebrazione, di atti eroici dell’uomo comune, che non si sublimano dedicando un'opera o scoprendo una targa, come peraltro abbiamo fatto: occorre fare di più, recuperare la memoria dei gesti, che prima di tutto pone ristoro a quanto costarono, perché nel caso di Cuozzo il prezzo fu stabilito dalla chiamata al più grande dei dolori.
Fino al 23 novembre 1980 la sua vita si svolgeva con i sussulti che solo la normalità bonaria concede, quella stessa che pensiamo di leggere nel suo sguardo conservato da una ingiallita fotografia, fors’anche per la luce che a posteriori i drammi attribuiscono ai volti.
Leone Cuozzo, per tutti Leuccio, aveva una moglie, tre figli ed un lavoro di custode ed addetto alla manutenzione nella parte iniziale dell'opera idraulica fra le più gloriose che l'uomo sia mai stato in grado d'immaginare e costruire: l'Acquedotto pugliese.
Abitava con la sua famiglia nelle foresteria all'imbocco della galleria Pavoncelli, ingegnoso traforo dell'Appennino che dall’inizio del secolo scorso convoglia l’acqua alla sitibonda Puglia.
Con la Pavoncelli, condivideva il luogo di nascita, Caposele, una stupenda e generosa cittadina dell’Irpinia che per dissetare i pugliesi seppe rinunciare alla sua ricchezza fondata sulle sorgenti di Santa Maria della Sanità e del fiume Sele.
Il 23 novembre 1980 era domenica, e Carmela, Enzo ed Alfonsina, i tre figli di Leuccio Cuozzo, si ritrovarono a casa di parenti nella vicina Lioni.
Erano passate da qualche minuto le diciannove ed una terribile scossa di terremoto, durata più di un minuto, colpì l’Irpinia, facendo crollare la casa dove si trovavano i giovani Cuozzo.
Le notizie sulle conseguenze del dramma furono per lungo tempo frammentarie, anche perché il terremoto aveva interrotto le comunicazioni.
Leuccio era a Caposele, dove accanto all’apprensione per i propri figli, dei quali non si avevano ragguagli sul destino, si accorse assieme ai colleghi e ai tecnici che il terremoto aveva prodotto un'esplosione di portata delle sorgenti e nella galleria Pavoncelli l'apertura di fornelli in calotta con sollevamento in più punti dell'arco rovescio, rendendo critico il trasferimento d'acqua alla Puglia.
Lo scenario che presentava l'opera idraulica era terribile, ma in Leuccio l’aritmetica sommava al dramma altro dramma.
La sua prima reazione fu, nonostante tutto, il dovere, pur sovrastato dall’angoscia del padre.
Con i suoi colleghi partecipò senza indugio agli impegnativi lavori di messa in sicurezza della galleria e delle sorgenti, che durarono quarantotto ore ininterrotte.
Solo dopo aver terminato il suo lavoro, Leuccio Cuozzo intraprese la ricerca dei figli dispersi, partecipando agli scavi e alla rimozione delle macerie.
Carmela, Enzo ed Alfonsina Cuozzo, furono ritrovati senza vita il 26 novembre 1980, tra le macerie del fabbricato di Lioni crollato.
Qualche giorno dopo, il 29 novembre Leuccio era a casa a Caposele con la moglie e alcuni parenti giunti da Milano, che tentavano di convincerlo a raggiungerli nella città lombarda. L'opera di persuasione, presunto analgesico del dolore, non riuscì, perché Leuccio Cuozzo si appartò in un'altra stanza dell'abitazione, e sconfitto dal dolore imbracciò il fucile e si tolse la vita: poteva finire lì, la vita gli aveva tolto tutto, ma prima di andare aveva fatto ancora una volta il suo dovere.
«È un eroe civile», ha scritto Nichi Vendola al Presidente Napolitano, richiedendo il conferimento della medaglia d'oro. Non c'è dubbio, lo è!
Come eroica è Raffaella Malanga, la moglie di Leuccio e mamma di Carmela, Enzo ed Alfonsina.
L'ho incontrata in occasione della cerimonia di intitolazione del potabilizzatore di Conza e non ho saputo trattenermi dallo scrutarla con soggezione, come capita quando dinanzi a noi si materializza tanta forza stipata in un contenitore fragile. Il suo volto e le sue eleganti rughe sembrano solchi in cui scorrono le energie di altre quattro vite. Mi piace pensare che sia vissuta per se stessa, per i suoi figli e per suo marito, come una grotta, detto con Clément nella sua «Breve storia del giardino», che non ha «mai smesso di accogliere le iscrizioni di coloro il cui sguardo, ferito da un eccesso di luce, si volge all'ombra per invitare il dentro a far vivere ciò che il fuori esclude».
*Assessore regionale pugliese alle Opere Pubbliche
















