Ci risiamo. Dopo la nascita del governo Draghi si era inabissato per qualche tempo, passeggiando sui fondali della politica con appuntata sul petto la spilla del neonato esecutivo. «È merito mio se ora è seduto lì», gongolava Matteo Renzi non senza qualche ragione, sparendo tra i flutti e limitandosi a un po’ di melina. Ora è tornato e l’ha fatto alla sua maniera, sparigliando il gioco con una variabile sui cui nessuno prevedeva di essere costretto a ragionare. Se Renzi fosse un calciatore sarebbe un centrocampista con i tempi di inserimento da metronomo, uno di quelli che toccano tre palloni in tutta la partita ma che, poi, all’improvviso, indovinano la giocata trovando un corridoio che gli altri nemmeno avevano adocchiato.
L’ha fatto anche questa volta, il senatore di Rignano sull’Arno, sfruttando l’ingorgo che ha intrappolato il ddl Zan lungo la via che porta a Palazzo Madama. Nel momento di massima confusione ecco l’imbucata: «Così com’è non passerà, mettiamoci al tavolo e mediamo». Con chi? Con l’interlocutore più improbabile, cioè la Lega di Matteo Salvini, disposta a discutere di un testo privo di castrazioni ideologiche, obblighi per le scuole e riferimenti all’identità di genere.
Italia viva ha fatto un passo, il Carroccio ne ha fatto un altro e chissà come andrà a finire. In realtà, potrebbe aver ragione Nicola Fratoianni di Sinistra italiana quando sostiene che il gioco di Renzi è apparentemente privo di senso: se tutto il centrosinistra - da Si a Iv, passando per Pd e M5S - si compatta, il testo, pur con qualche fatica, potrebbe passare così com’è (ballano una decina di voti). Per la serie è inutile cercare sponde nei sovranisti ed è inutile rimettere mano alla formulazione del disegno di legge già passata alla Camera. Se si vuole, si fa.
Ma Renzi non è tipo da immolarsi per cause ideologiche. E il problema, oltretutto, è che il ddl Zan è più grande di se stesso nella misura in cui potrebbe essere la prima pietra sulla quale costruire una nuova chiesa. La chiesa dei due Matteo, Renzi e Salvini, che starebbero pensando di partire in tandem proprio dalla legge contro l’omotransfobia per planare poi sul Quirinale con lo stesso paracadute. Se i renziani si unissero al centrodestra, la strana alleanza avrebbe la maggioranza dei «grandi elettori», spazzando di colpo tutte le opzioni gradite ai dem (e invise a loro) - da Walter Veltroni a Paolo Gentiloni - per puntare tutto su un nome diverso, probabilmente di ispirazione liberale o conservatrice. Un inedito nella politica italiana che si deve, ancora una volta, a una «diabolica» intuizione dell’ex premier, molto poco lucido quando si tratta delle proprie fortune (referendum docet), ma abilissimo nel far andare di traverso il boccone agli altri e rovesciare il gioco.
Lo sa perfettamente il segretario dem Enrico Letta, eterno inseguitore delle agende altrui. Le sue parole di fuoco puntano ad inchiodare Renzi al suo perimetro di appartenenza, cioè il centrosinistra, in alto come in basso, per il Quirinale come per il ddl Zan. Ma il Matteo toscano da quell’orecchio ci sente poco. E poco c’è da aspettarsi di là dal rituale «state sereni» o del convenzionale formulario politichese che si rovescia sul tavolo in simili casi.
Questa volta, però, Renzi s’è tenuto in equilibrio, almeno in parte, accodandosi al resto dei progressisti nella calendarizzazione del provvedimento in Senato. Una data da cerchiare sul calendario, quella del 13 luglio. Cosa succederà, però, è tutto da scoprire. Letta ha fatto sua la bandiera della coerenza rovesciando su Italia viva la colpa di una eventuale sconfitta. Salvini gliel’ha già ribaltata: «Se la legge sarà affossata il nome di chi ha impedito che si arrivasse all’unità è Letta».
Il boccino, manco a dirlo, ce l’ha proprio il leader di Italia viva che, ancora una volta, s’è piazzato in due mosse al centro della scena. Resta da capire come vorrà giocarsela, se portando a compimento il matrimonio con Salvini o se finendo per cedere a Letta e alla ragion arcobaleno. Comunque sia, la certezza è solo una: lui è tornato. E, conoscendolo, da ora in avanti non c’è più nulla di scontato.