Ma ora che l’Italia risorge al primo week end di bianco totale, ora che pregusta altri canti liberatori per la Nazionale, quali sono gli interrogativi del dopo-pandemia? Se i politici litigano sullo stato d’emergenza, se i virologi disputano sulle dosi eterologhe del vaccino, la gente pensa alle vacanze. La parola vuol dire vuoto, distrazione, divagazione, assenza di impegni, sospensione di preoccupazioni. Sicché, per quanto aumenti la miseria e diminuiscano le aspettative di vita, nei bilanci si impone il quesito: cosa e come potrò fare in estate? Andare o restare? Viaggiare o stazionare? Sarà opportuno raggiungere un «altro» luogo, allontanarsi dalla propria abitazione per visitare un’altra città, paese, continente? Oppure, presi dal timore di contagi, dobbiamo per precauzione risiedere, restare nella nostra tana? Oppure ancora, eleggere una seconda casa a isola felice del compromesso?
Circa 2 italiani su 3 andranno in vacanza nei prossimi mesi. I più resteranno nei patrii confini. Come per l’80% dei turisti è accaduto nell'estate 2020. E per il 2021? Grazie alla campagna vaccinale e al green pass, le mete possibili del Vecchio continente si moltiplicano: dai paesi dell’UE a Islanda, Norvegia, Gran Bretagna, Irlanda del nord, Svizzera ecc.
Importante è sciamare. L’imperativo non si cura di green pass o mascherine, richiami e varianti. Né della «libertà di respiro». Al massimo, fa i conti con i bilanci delle famiglie. Perché le vacanze sono entrate a pieno diritto nel paniere della vita. Comprometterle sarebbe un altro colpo duro all'economia e alle due leve della modernità: il movimento e il tempo libero.
Il primo è una conquista troppo grande, che esprime la voglia dell’uomo di conoscere, di vivere, di sperimentare. Ma anche il tempo libero è voglia di essere: leggere, scrivere, chiacchierare, ascoltare, passeggiare, giocare, praticare uno sport, un’amicizia, un hobby. Tutto questo, in un breve volgere, non è stato più o, meglio, non è apparso più come tale.
Per diverse ragioni. Ce lo siamo in parte negato perché soffocati dal mal di Covid, che ci risospinge dentro. Un po’, però, ce l’hanno sottratto. Oppure ce l’hanno vietato o ne hanno «raccomandato» un uso parco.
Il tempo libero, che la distanza sociale e i principi di precauzione hanno circoscritto e costretto al lumicino, è stata una conquista della epopea del lavoro, che ai momenti liberati dalla fatica riserva quel sovrappiù da consumare.
In principio c’era il loisir, il piacere, come lo chiamano i francesi. Il tempo libero è il «surplus proletario», in questi anni goduto a piene mani, segno di una crescita e di un benessere economici e psicologici non indifferenti e della conquistata capacità di saper fruire di altri beni che non siano quelli indispensabili alla nostra sussistenza. Il tempo libero è diventato una pietra miliare della democrazia, un prerequisito a nessuno negato.
In pochi mesi però abbiamo dilapidato il vantaggio di una civiltà e di culture che si erano prima tutelate dai disastri e dalle rovine delle guerre con il welfare state e poi si erano distese e arrotolate sui consumi. L'uno e gli altri sembrano svaniti in una economia della sopravvivenza in cui intravediamo dei rimbalzi, ma in un mix letale, in cui fanno capolino redditi di emergenza, sussidi, provvidenze, ristori.
Ma non è tempo di necrologi. Semmai di riconquista e di riconoscimenti. A cominciare da quelle che appaiono le due categorie più deprivate di movimento e tempo libero: i giovani e gli anziani. Ai primi abbiamo negato l’adolescenza, sospiri, incontri, sguardi, relazioni. Ai secondi la terza età, carezze, sorrisi, serenità. Agli uni e agli altri dobbiamo augurare che la risorgenza sia cauta e misurata. Per una ripresa economica e un ristoro fisico-morale di tutti.