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Come scoprire un buon motivo per «spendersi»

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Come scoprire un buon motivo per «spendersi»

Domenica 16 Maggio 2021, 13:35

I politici consumati dalle campagne elettorali, quando vogliono coinvolgerti o accaparrare consensi, ti chiedono di «spenderti» per la causa. Usano questo verbo commerciale per associare l’impegno ideale alla nozione del pregio, del costoso, del merceologico valore, cioè: tu. In un mondo dove tutti conoscono il prezzo di qualcosa, ma, pochi, il valore, la locuzione è perfetta. 

Orbene, io mi sono speso di frequente per cause in cui ho creduto, cause politiche o culturali, ambientali o sociali. Talora anche di ambito «d’amorosi sensi», lo ammetto, ma, in questo caso, non me lo chiedeva nessuno.
Ho la rassegnata certezza che la gran parte degli amici postulatori conta sul valore aggiunto, sempre per restare nella metafora economica, di quel tanto di notorietà televisiva che mi ha procurato tante piccole soddisfazioni, ma, pure, tanta fatica presenzialista. Mi ha anche arricchito di passato, tant’è che, se davvero, fossi andato a scuola con tutti quelli che si ricordano di me come compagno alunno o studente, sarei stato un fior di ciuccio ripetente e dovrei avere il doppio dei miei anni. Non escludo d’esser stato discolo e scavezzacollo, ma più o meno come tanti e i miei veri compagni di scuola li ricordo bene, non ho bisogno di arricchire l’album dei ricordi, già così malinconici.Comunque, ho sempre tenuto in alta considerazione il dovere di ricambiare il seguito affettuoso e di «spendermi», dunque per le imprese importanti dove la mia testimonianza di personaggio popolare può aiutare una causa giusta.

In una lontanissima sera della primavera del 1995 pioveva a dirotto in provincia di Bari. Sotto un tendone circense, annidato tra le periferie ininterrotte dei paesi che circondano il capoluogo, s’aspettava Romano Prodi che aveva appena incominciato il suo viaggio in Italia, viaggio elettorale, a bordo di un fortunato autobus comiziante.
M’era stato chiesto di presentarlo. Di «spendermi», appunto. Non era una fregatura: come potevo esimermi, perbacco? Era l’inizio di una campagna difficile ed entusiasmante e sembrava essere il principio di un viaggio di riscossa politica in cui molti pensavano che fossero in gioco gli stessi principi di civiltà della nostra democrazia. Mi «spesi», ovviamente. Ma il compito era complicato. Altro è intrattenere un pubblico ordinato, composto e motivato da un’attesa precisa, altro è comiziare, affrontare la moltitudine, conquistarsi l’attenzione, lottare con l’acustica sempre pasticciona e, io non ero attrezzato, non avevo esperienza. La magniloquenza avrebbe preteso retorica di ufficialità ed io non l’avevo, competenza specifica dei problemi elettorali che a me, già allora, facevano paura e piglio tribunizio che io trovavo ridicolo. Non c’era da fare altro che improvvisare. Ed io improvvisai: raccontai la storiella del comizio cui avevo assistito nella mia infanzia e che ho già raccontato in queste pagine, comizio nel quale l’oratore insisteva con tenacia nel ricordare i problemi del «Mezzogiorno». Con anafore insistite e simmetrie retoriche usava questo termine con ripetitività ossessiva e lo legava all’altra magica parola: problema. «Il problema è il Mezzogiorno, il più grave problema consiste nello sfamare il Mezzogiorno», eccetera, reiterando.

Finché, dallo sparuto uditorio di quella piazza s’alzò una voce chiara e magnificamente dialettale che tuonò: Né cumbà, disse, non è tant la mezzadì u problem, alla mezzadì arrangiam. Iè la sera che non ptime mangià. Raccontai l’aneddoto a testimonianza della difficoltà di farsi capire in un comizio; s’ebbe un ululato di risate sotto il tendone. Il popolo del centrosinistra, evidentemente, sa distinguere le storielle divertenti dalle barzellette del padrone. Arrivò, in quell’ululato, Prodi, Prodi il candidato! Prodi il presidente del Consiglio in pectore! Sorpreso, piacevolmente sorpreso, chiese la ragione di tanta ilarità. Tradussi. Egli comprese. E rise. E come poteva non ridere? Io la feci franca dal rischio del comizio, evitai brutte figure e tornai a «spendermi» per quello che so fare e portai fortuna a Romano Prodi.

Vorrei ricordargli questo minuscolo episodio, adesso che osserva con distacco elegante e con la consueta competenza che ostenta con un dolce cipiglio di osservatore neutrale le vicende di un paese che sembra sorprenderlo. Forse potrebbe gradire il piccolo tributo della memoria mentre fatica a far arrivare all’uditorio degli Italiani la semplicità di affrontare la politica, di operare per essa e non di «farla». Di interpretare la politica e non di confonderla con le traballanti, confuse, nebbiose necessità contingenti nella misura del vecchio adagio che del denaro diceva «pochi, maledetti e subito» con spicciativa destrezza di una logica rassegnata. Perché la politica non deve somigliare al denaro. Come tutti confusamente affermano di sostenere, ma del denaro deve servirsi per il bene del paese e dei cittadini.

E vorrei ricordare quella pioggia beneaugurate e pulita sul tendone affollato in quella gioiosa sera pugliese. Oggi la pioggia che dobbiamo augurarci grondante e altrettanto pulita sarà quella del denaro, appunto, che arriverà con il fondo del risorgimento economico che l’Europa ci assegna, il «Recovery fund»: il Mezzogiorno ne ha bisogno per costruire il suo domani, per sanare secolari mancanze, per compensare squilibri e ingiustizie, per continuare la realizzazione del progetto «nazione d’Europa».
Il Mezzogiorno portò fortuna a Prodi e portò fortuna al centrosinistra, anche se questo fece di tutto, poi, per non accorgersene, regalando a quegli altri il governo del Paese per anni difficili. Ed oggi non può farlo, non più. Si spendano gli uomini di buona volontà: si può ricominciare dal Mezzogiorno. Io, per parte mia, ho un altro paio di storielle istruttive e non sarà difficile trovare una grande tenda.

Questo giornale, su cui scrivo e racconto, porta la parola Mezzogiorno nel suo titolo e, proprio oggi, «ricomincia a continuare» la sua opera. Con un nuovo direttore. Mi spendo con gioia per lui: Buon lavoro a Michele Partipilo. 



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