“Non avrete altro commissario straordinario al di fuori di lui”. Questo, almeno, è il mantra recitato quasi ossessivamente dal premier Giuseppe Conte durante il secondo governo da lui presieduto, nominando (prima) e difendendo strenuamente (poi) Domenico Arcuri quale responsabile della gestione dell’emergenza da Covid-19, suscitando progressivamente dubbi e malumori per l’ampliamento di attribuzioni e le non sempre felici scelte compiute. Secondo taluni, il capro espiatorio scelto cinicamente dal premier.
Ma tant’è. Mario Draghi ha fatto passare solo pochi giorni per sollevare Arcuri dall’incarico e sostituirlo con un uomo di tutt’altra estrazione. Un generale dell’Esercito dal curriculum assai prestigioso, che ha comandato importanti missioni all’estero, al posto di un manager cresciuto all’ombra di società pubbliche e partecipate. Due profili agli antipodi, due individui dei quali – naturalmente – solo un bilancio ex post potrà dirci chi sia stato il migliore nel misurarsi con l’emergenza pandemica. Certo è che la stessa scelta di Domenico Arcuri, in carica da tredici anni quale amministratore delegato all’Invitalia – società di proprietà del ministero dell’Economia e delle Finanze – non era fin da principio apparsa molto appropriata, essendo la società stessa un contenitore dedito alle più svariate attività tra le quali, però, non vi è quella della sanità della quale, infatti, Arcuri non ha competenze specifiche.
Né, peraltro, il commissario straordinario ha ritenuto di ricorrere alla possibilità – prevista in statuto – di avvalersi di particolari soggetti e di centrali d’acquisto. Arcuri ha deciso di farne a meno, con le conseguenze non sempre esaltanti che sappiamo: errori nella scelta degli interlocutori, prezzi maggiorati (mascherine docent), forniture ritardate o mai arrivate.
Domenico Arcuri incarna la figura del manager politico “consolidato”, con i pro e i contro di una figura di tal genere, Francesco Paolo Figliuolo quella del militare al servizio del Paese senza sé e senza ma. È un indubbio punto di vantaggio per il nuovo commissario straordinario, sicuramente più organico alla gestione di un’emergenza senza precedenti, che richiede interventi decisi, pronti e risoluti. Nonché, chiaramente (ma si tratta di una condicio sine qua non), anche competenze acquisite sul campo. E Figliuolo, tra l’altro, dal 7 novembre 2018 è comandante della logistica dell’Esercito. Un approccio tipico delle istituzioni militari, notoriamente preparate a gestire – con il coordinamento della Protezione civile – emergenze come eventi sismici, alluvioni o altri disastri naturali e addestrate alla difesa contro attacchi con armi non convenzionali come quelle chimiche o batteriologiche ha di per sé un valore aggiunto che segna un solco già in partenza.
La scelta di Draghi, insomma, al di là delle persone, appare più funzionale agli obiettivi.
In un momento in cui la campagna vaccinale è diventata la priorità, anzi l’unico appiglio cui fare affidamento per uscire da un incubo iniziato ormai oltre un anno fa, non si può più sbagliare: occorre approvvigionarsi di tutto il necessario per immunizzare la popolazione, distribuirlo, dispensarlo, con criteri – Regioni permettendo – possibilmente omogenei, senza favoritismi e senza ulteriori perdite di tempo. Mettendo da parte tentennamenti, impreparazione e improvvisazione.
Ogni giorno in più significa perdita di vite umane e ritardi nel ritorno all’agognata normalità.
L’iniziativa di Super-Mario, peraltro, si inserisce in un’azione combinata che ha portato – col silenzio che lo contraddistingue – a sostituire le altre figure chiave coinvolte nella lotta al Covid-19, ripristinando le competenze di ciascuno. Franco Gabrielli a Palazzo Chigi come sottosegretario (Autorità delegata per la sicurezza pubblica). Fabrizio Curcio alla Protezione civile, al posto di Angelo Borrelli. Personaggi meno votati all’apparire e più al fare. Un’esigenza imprescindibile in questo momento. E che avranno il compito di rimettere in sesto la macchina sempre più claudicante di contrasto all’emergenza pandemica.
Le persone si giudicano dai risultati e, dunque, non sarebbe corretta nessuna valutazione né raffronto tra due situazioni oggi non comparabili, tra chi il suo mandato ha terminato e chi invece è agli suoi inizi. Vi sono, però, delle aspettative che ci si augura non verranno tradite. Vi è un ulteriore esempio del Draghi-style, l’auspicio è che il premier continui imperterrito su questa strada, privilegiando in ogni campo il merito rispetto ai giochi politico-partitici. Se così sarà, non usciremo soltanto in tempi più rapidi dalla pandemia, ma ci troveremmo di fronte a un nuovo modo di gestire la cosa pubblica cui ci si dovrà abituare.