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Giuseppe De Tomaso
21 Febbraio 2021
Sosteneva la buonanima di Giovanni Falcone (1939-1992) che, essendo la maggior fabbrica di «lavoro» dell’Isola, la Regione Sicilia aveva il dovere di fare buona economia. Pia illusione, come, in cuor suo, sapeva lo stesso Falcone, sul cui volto si leggevano il disincanto e l’amarezza per le molteplici delusioni patite. Per produrre buona economia, la Regione Sicilia - ma il discorso vale per tutte le altre regioni italiane - avrebbe dovuto fare una cosa sola: rendere autonomo il settore privato, non legarlo a sé.
Invece, se c’è un virus che, come il Covid, ammorba il Belpaese, e il Sud in particolare, questo va cercato nella presenza incombente del pubblico negli affari privati (e viceversa). Risultato: non si capisce nulla.
Anzi: si capisce tutto. Il potere politico vuole stabilire chi vince e chi perde nella gara tra gli operatori economici. I potentati privati, ammanigliati con la politica, cercano di ricavare rendite monopolistiche e privilegi dalla contiguità col potere pubblico. Altro che omaggio, inno alla concorrenza, come ha esortato a fare Mario Draghi nel debutto in Aula come presidente del Consiglio. La classe politica, specie a livello regionale, ragiona quasi sempre per cooptazione e affiliazione degli amici degli amici, con buona pace di tutti i propositi di trasparenza e moralità gestionale.
Ma anche a livello centrale, lo stato centralizzatore tende a suonare la medesima musica, fino al punto da trasformare la cosiddetta politica industriale nella parodia di se stessa. In soldoni: chi sostiene le campagne elettorale, è premiato dagli incentivi; chi non paga, si arrangi come può. Altro che per politica per l’industria, come pure sarebbe più corretto dire e attendersi. Di solito prevale la politica per la politica.
La montagna di euro che sta per riverarsi sullo stato e sulle regioni italiane a mo’ di risarcimento per il disastro economico provocato dalla pandemia, potrebbe costituire nello stesso tempo una benedizione o una maledizione.
Sarà una benedizione se i soldi dell’Europa verranno utilizzati presto e bene, per finalità infrastrutturali al di sopra di ogni sospetto. Sarà una maledizione se i soldi saranno impiegati tardi e male, per obiettivi al di sotto di ogni sospetto e per arricchire vassalli, valvassori e valvassini, ossia gli archetipi di una società feudale, per certi versi, non ancora estinta, anzi, talora, resuscitata come Lazzaro.
Purtroppo la classe politica meridionale (e nazionale), salvo poche eccezioni, non offre le migliori garanzie. Antepone il proprio potere a tutto il resto, in ciò incitata anche da quella Razza Padrona, sovente Predona, che per parafrasare un detto dell’economista comasco Giuseppe De Welz (1774-1841), possiede un’opinione troppo alta delle proprie capacità (addirittura! ndr) per desiderare di imparare e di cambiare.
Anche per questa tipologia imprenditoriale il Potere è tutto, più del Profitto e della crescita aziendale (diciamo). E, si sa, i popoli che si fanno deboli nei pensieri, si fanno piccoli nelle opere, ammoniva un altro economista lombardo, Carlo Cattaneo (1801-1869).
La Puglia è di sicuro una terra ad alta vocazione imprenditoriale (genetica e ambientale). Basti pensare che nelle vene del secondo uomo più ricco del Belpaese, Leonardo Del Vecchio, scorre sangue tranese. I baresi, poi, somigliano molto a Ulisse, il personaggio letterario più intraprendente e levantino di tutti i tempi.
Ma cotanto dinamismo si scontra con la voglia matta del Potere di legare a sé il privato, asservendolo vita natural durante. Ovviamente gli spiriti liberi resistono o cercano di resistere al pressing esercitato dall’alto, mentre gli spiriti servili non vedono l’ora di accasarsi con la Razza Potentona di turno. E la spirale continua.
Diciamolo. Solo nella fase guidata da Aldo Moro (1916-1978) si registrò in Puglia un rapporto (più) istituzionale tra classe imprenditoriale e classe politica. Moro cercò di rendere autonomo il sistema imprenditoriale e di aiutarlo a crescere grazie ai suoi contatti con il resto del mondo. Finita, tragicamente, la vicenda umana di Moro, la Puglia delle imprese ha ripreso a soffrire nel rapporto con il Potere politico. L’appartenenza (quella giusta, of course ) ha sempre di più rappresentato il biglietto da visita richiesto, con tanti saluti al doveroso distacco tra politica e affari.
Il che ha generato una grave compromissione di ruoli, roba che sta al nitore democratico come Rocco Siffredi sta alla castità. Morale? Alcuni politici ragionano e si comportano da imprenditori. Alcuni imprenditori (o sedicenti tali) ragionano e si comportano da politici. E quando queste attività si compenetrano o si confondono, si realizza la sublimazione dell’opacità istituzionale.
Draghi non poteva dire di meglio, con la sua proverbiale laconicità. A cosa serve sognare nel Sud grandi opere e scrivere grandi progetti se la legalità si trasforma in optional?
Ecco perchè quella del Recovery si annuncia come la madre di tutte le battaglie per sottrarre il Paese e il Sud al gioco e al giogo dei loro numerosi conflitti di interesse. I programmi di sostegno pubblico possono salvare una nazione, ma possono anche contribuire a devastarla. Dipende da come vengono progettati, realizzati e utilizzati. Il Piano Marshall del secondo dopoguerra fu una fortuna per l’Italia e l’Europa.
Invece, il Piano di ricostruzione del Sud Italia dopo il terremoto del 1980 fu una iattura: non solo si trasformò in un pozzo di San Patrizio per le casse pubbliche, ma generò un ceto politico e un giro di malloppisti più famelici di due branchi di leoni digiuni da mesi. La camorra si fece «imprenditrice» innalzando il proprio tasso di crudeltà e occupando, non solo militarmente, ma anche politicamente ed economicamente, i comuni della Campania per poi estendere i suoi tentacoli in Puglia, attraverso l’ingaggio di gentiluomini (sic) che successivamente daranno vita alla spietata Società foggiana e all’altrettanto terribile Sacra Corona Unita salentina.
I clan hanno messo nel mirino da tempo i fondi europei, come denunciano i magistrati più attenti e coraggiosi. Ragion per cui è fondamentale che la classe politica regionale e nazionale aiuti con le regole, poche, semplici e chiare, e con progetti infrastrutturali decisivi (fibra ottica in primis) l’imprenditoria migliore, quella più autonoma ed efficiente, in modo da recidere sul nascere le radici dell’imprenditoria peggiore, ossia dei legionari dell’illegalità.
Preoccupazioni esagerate? Macché. Quelli che si ispirano Falcone e Borsellino stanno ancora aspettando le risposte ai problemi da loro sollevati, non solo in Sicilia.
Giuseppe De Tomaso
detomaso@gazzettamezzogiorno.it
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