L’ormai celebre «whatever it takes» – costi quel che costi – riferito all’euro e all’Unione europea da Mario Draghi, oggi presidente del Consiglio dei ministri, si unisce al monito sul futuro dei giovani che quando ancora era Governatore della Banca d’Italia lanciò nelle sue Considerazioni finali: «[i giovani] stanno pagando un prezzo troppo alto per la crisi. Oltre a ferire l’equità, è uno spreco che non possiamo permetterci»: sono due imperativi categorici sulle quali si baserà il suo governo, che tutti auspicano con un grado di «simpatia» smithiana.
I giovani, dunque: nel suo recentissimo Aristocrazia 2.0 Una nuova élite per salvare l’Italia (Solferino, RCS Milano 2021) Roger Abravanel richiama l’esigenza di «restituire fiducia» al Paese: «Bisogna rivolgersi ai giovani che non fanno parte di quelle classi privilegiate che non hanno interesse a cambiare alcunché. Tra loro bisogna puntare su quelli che nei prossimi anni dovranno effettuare scelte importanti per la propria istruzione o per il lavoro e che hanno un potenziale di ambizione per sfruttare eventuali opportunità. Sono le “nuove generazioni del merito”».
E ancora: “[…] in Italia dobbiamo andare controcorrente, far nascere una meritocrazia che non c’è mai stata per valorizzare il potenziale umano e venire in aiuto di una economia come la nostra che vede il post-Covid come un’ultima spiaggia». Temi che non hanno bisogno di ulteriori commenti!
Taranto, città di quei «due mari» che hanno saputo ispirare «due culture»: quella industriale che purtroppo tante polemiche a richiamato sul territorio che fu Magna Grecia, e una seconda cultura ben più significativa e importante che discende direttamente dalle origini storiche di quel lembo di terra bagnato appunto dal mare che fu di Ulisse e che rapidamente si aprì al sapere e alla conoscenza, interpretati oggi in forma esemplare dal «Centro di Cultura e sviluppo “G. Lazzati”» presieduto da Domenico Maria Amalfitano, figura di grande meridionalista sempre alla ricerca di nuovi modelli di sviluppo e latore di amore vero per l’educazione sociale.
Già qualche giorno prima che nascesse il nuovo governo Amalfitano, con intuizione folgorante, ha interpretato il pensiero di Draghi e di Abravanel sui giovani promuovendo, con la collaborazione di Michele Durante, un convegno sul grande economista campano Antonio Genovesi in occasione di una nuova edizione della sua La logica per i giovanetti, la cui prima edizione era apparsa a Napoli nel 1765. A questa iniziativa è stato interessato Riccardo Milano che ha presentato il saggio di Genovesi in un libro che reca il significativo titolo La logica del bene comune. Coscienza, memoria, responsabilità, dialogo (Gabrielli editore 2020). Il «trattato», perché tale è nel suo complesso, si avvale della presentazione di Stefano Zamagni e dei saggi di Francesca Dal Degan, Roberto Mancini, Lucio D’Alessandro e Luigi Riccardi. Un elogio particolare va alla presentazione che Milano fa del testo dell’economista napoletano intervallandolo con preziosi «commenti» che ne chiariscono i passi più ermetici rapportandoli ai problemi dell’attualità.
Antonio Genovesi (1713-1769) è stato contemporaneo di Adam Smith (1723-1790) da tutti ritenuto il fondatore dell’economia moderna avendo pubblicato nel 1776 la celebre Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle Nazioni. Tuttavia, va segnalato che proprio Genovesi è stato il titolare della prima cattedra al mondo di «Commercio e di Meccanica» ovvero di «Economia pubblica», istituita nel 1753 - grazie ai fondi resi disponibili dal possidente Bartolomeo Intieri - da re Carlo III su indicazione del suo celebre ministro marchese Tanucci. I testi più significativi del suo pensiero sono le Lezioni di commercio o sia d’economia civile (1765) dove segnala come il commercio possa evitare le guerre, Della diceosina o sia della Filosofia del Giusto e dell’onesto (1766) e, quindi, nel 1766 la prima stesura de La logica per i giovanetti.
Secondo Stefano Zamagni quest’ultimo è un saggio che educa all’Auctoritas (non alla Potestas) dell’insegnamento che mai deve deludere i giovani ma che anzi deve instillare in loro una speranza pregna di passione tale da renderli preparati ad agire in un’economia contraddistinta dall’agire civile nella vita economica del quotidiano. Zamagni in altra sede aveva ricordato il pensiero di Bergson e cioè che i giovani devono imparare a pensare come persone d’azione e ad agire come persone di pensiero.
Siamo dunque in una Italia settecentesca culturalmente viva per quanto già caratterizzata da forti correnti polemiche. A Venezia «C’era un uomo che voleva calcolare tutto. Piaceri, dolori, virtù, vizi, verità, errori. […] Gianmaria Ortes, così si chiamava, era un prete secco e scorbutico», racconta Italo Calvino.
Ortes aveva scritto diversi saggi fra i quali un importante trattato, Dell’Economia Nazionale (1774). Un singolare esempio del suo non facile carattere è il tagliente giudizio proprio su Antonio Genovesi, espresso in una lettera del 4 giugno 1774 indirizzata a Sebastian Canterzani: «Sento dire che nell’Università di Napoli si sia commesso di insegnar l’economia comune prendendo per norma le lezioni del Genovesi: se questo è vero, si saprà mai nulla a questo proposito in quella Università». Come si vede il pettegolezzo polemico già allora colpiva in modo pesante persino le intelligenze superiori come quella di Genovesi che rivolgeva la sua, giustamente, all’educazione dei giovani – ovvero di coloro che nella Francia illuministica Denis Diderot definì «posterità», alla quale dedicò la grande Encyclopédie.
La logica per i giovanetti è dedicata «Al gentile LEGGITORE e amante di sapere» avendo come Proemio «Della logica, o sia dell’arte di pensare, ragionare, e disputare». Si suddivide in cinque capitoli o «libri»: Dell’emendatrice ovvero come trarre insegnamento dagli errori emendati; Dell’inventrice sulla natura e le varie sorti delle idee; Della giudicatrice sul giudizio e la critica e più in generale intorno al vero e al falso; Dell’arte ragionatrice su come ragionare elevando l’«attenzione» a microscopio dell’anima; e infine Dell’ordinatrice dove viene svolto un discorso sul metodo analitico e su come dare ordine ovvero «organizzare» i nostri pensieri, pagine dove si tracciano anche le regole della sintesi e del comporre - regole assai attuali che ricordano quelle indicate da Guglielmo di Ockham (1288-1347) con il suo famoso «rasoio»: «non moltiplicare le parole più del necessario», ovvero è inutile fare con più ciò che si può fare con meno.
Nel testo di Genovesi risaltano esempi di spiccata saggezza, come quando sembra quasi voler introdurre i moderni concetti di hardware e software.
Mi fa piacere concludere ricordando Leonardo Sciascia, del quale si celebra il centenario della nascita (1921). In una sua intervista a Marcelle Padovani disse: «L’unico modo di essere rivoluzionari è quello di essere un po' conservatori: al contrario del reazionario che vuole tornare al peggio, il conservatore è colui che vuole partire dal meglio, che vuole conservare il meglio. E almeno la scuola bisogna riconoscerlo un po' meglio era». E quindi affermò: «È la scuola da cui bisogna tutto ricominciare» - ribadendo così il pensiero di Antonio Genovesi - conservatore, grande riformatore, davvero «nostro contemporaneo».