Bari e Taranto, non è una sconfitta capitale
NEWS DALLA SEZIONE
Bari e Taranto, non è una sconfitta capitale
Pfizer tra monopolio e pasticcio consegne
Stretti fra crisi e pandemia non rinunciamo a un sorriso
Quelle fasce a colori nella crisi di Governo
E lo sport di Puglia non si lascia piegare
Roba da matti nel Paese chiamato allegrezza
i più visti della sezione
NEWS DALLE PROVINCE
i più letti
L'ANALISI
Michele de Feudis
14 Gennaio 2021
Il ritiro della delegazione di ministri di Italia Viva, ufficializzato da Matteo Renzi con una frizzante conferenza stampa a Palazzo Madama, apre la crisi di governo e consente di delineare più scenari per superare l’attuale impasse.
Incomprensioni politiche e incompatibilità personali hanno creato un solco tra il premier Giuseppe Conte e il leader di Italia Viva, in un crescendo di cordiale disistima, appellativi sarcastici (uno lo chiama «fenomeno», l’altro replica nominandolo come «professore»), glaciali scambi di gli auguri natalizi, e discussioni infuocate in Consiglio dei ministri tra lealisti e ribelli renziane, con Teresa Bellanova in testa.
Ieri Conte è stato al Quirinale per informare il presidente Sergio Mattarella dello stato di salute (precaria) della maggioranza di governo. Il Colle non ha nascosto «lo sgomento» per una crisi che arriva in piena seconda ondata della pandemia, e al paese può apparire quasi irrispettosa delle sofferenze degli italiani. Mattarella ha espresso il proprio pensiero severo su ipotesi di maggioranze alternative e «raccogliticce»: un mercato dei parlamentari «responsabili» allargherebbe il solco tra il Palazzo e il paese reale. Da qui la riflessione sulla possibilità che nasca un gruppo politico solido a sostegno di una nuova maggioranza progressista.
Quali le ipotesi in campo? Il ritiro delle due ministre renziane non comporta la caduta dell’esecutivo ma il premier è a un bivio: può dimettersi, facendo così avviare delle nuove consultazioni al presidente Mattarella, o può parlamentizzare la crisi, per cercare una verifica dopo aver «congelato» le dimissioni (prendendo l'interim o respingendole). Così potrebbe prendere tempo per una mediazione con Italia Viva, o per dare forma ad una brigata di «responsabili» (al Senato sono tanti i peones ora ricercati per diventare stampella di un possibile nuovo esecutivo, al punto che Renzi ha ironizzato sulla convergenza Conte-Mastella, dal momento che il sindaco di Benevento ha la moglie parlamentare di sicura vocazione responsabile). Se la verifica si concludesse con una bocciatura, Conte dovrebbe dimettersi e probabilmente uscire di scena.
Le consultazioni di Mattarella post dimissioni sonderebbero gli orientamenti dei partiti per la costituzione di una nuova maggioranza parlamentare: potrebbe essere di centrosinistra con Italia Viva o di centrosinistra (Pd-Leu-M5S) con i responsabili e senza Italia Viva.
La terza strada potrebbe essere quella di un governo di unità nazionale, con un programma calibrato su crisi pandemica, rilancio dell’economia e Recovery fund (un progetto che troverebbe il placet anche dei leghisti vicini a Giancarlo Giorgetti). La figura ad hoc per questo itinerario potrebbe essere quella di un premier istituzionale, un economista o una personalità di rilievo tra le cosiddette riserve della Repubblica (da Sabino Cassese a Mario Draghi).
La quarta alternativa è un governo di scopo: pochi punti, il governo dell’emergenza e il traghettamento del paese alle prossime elezioni (strada maestra per Giorgia Meloni, leader di Fdi).
Sullo fondo ci sono le partite dei leader nazionali: Conte gioca per confermarsi come «unico collante» tra le forze progressiste in parlamento, Renzi rivendica una differente centralità del riformismo rispetto al decisionismo contiano, Zingaretti spera che lo spirito unitario del Pd sia apprezzato dagli italiani. A destra Berlusconi è il dialogante, Salvini e la Meloni auspicano il crollo del governo per andare a riscuotere nelle urne il dividendo politico di una opposizione senza sconti. I vincitori e i vinti si conosceranno nelle prossime ore, quando sarà più definito l’orizzonte della crisi e il binario per una eventuale soluzione.
Il voto, però, come da tradizione veteropartitocratica italiana, è davvero una ipotesi molto lontana (seppure oggi plausibile): due terzi dei parlamentari del M5S non verrebbero rieletti, non tornerebbero nelle Camere anche tanti esponenti centristi. E così alla fine le alchimie che verranno saranno figlie - più che delle ideologie (ormai tramontate) - della massima andreottiana: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia».
LE RUBRICHE
Lascia il tuo commento
Condividi le tue opinioni su