Voto un uomo? Voto una donna? O voto una persona? Siamo così presi dal post-virus (speriamo che sia proprio «post») e dai suoi drammi, che una questione importante come quella della scelta dei nostri rappresentanti rischia di passare in secondo piano. Si litiga sulla data delle elezioni regionali e si litiga sul tema della cosiddetta «doppia preferenza», allocuzione che porta già in sé un segno di doppiezza che non fa onore.
«Doppio», secondo il dizionario Treccani significa «due volte tanto, due volte la grandezza considerata come normale». E già il vocabolario più illustre introduce involontariamente il punto: è… normale?
È normale che nel 2020, a 75 anni dalla «concessione» del voto alle donne, ci si debba ancora chiedere se è giusto rimpolpare l’assise regionale pugliese con un po’ di teste (e non solo volti!) femminili? Bastano due cifre: il 90 per cento dei nostri consiglieri regionali è uomo; in assemblea ci sono 50 uomini e 5 donne. Con questi numeri, è chiaro che – in qualsiasi modo la si voglia pensare – lo sbilanciamento esiste e si trascina da decenni e decenni. La legge che ha tentato di riequilibrare il «fenomeno» è la numero 20 del 2016, ma la Regione Puglia non è riuscita ad adeguare la sua normativa, tanto che girano vorticosamente le petizioni, le note, le considerazioni, le prese di posizione, per fortuna molto femminili ma non soltanto femminili.
E però… tanto rumore per nulla. Ben due articoli della Costituzione, il numero 3 (sull’uguaglianza tra i cittadini) e il numero 51 (sulla parità di genere nelle cariche elettive) hanno già in sé la risposta: non servono inutili attese attuative, non servono adeguamenti da parte delle regioni ritardatarie: donne e uomini, 50 e 50 (per ricordare uno dei movimenti che ha tanto combattuto in Puglia) hanno stessi diritti a essere eletti. Lo sottolinea dall’Università di Bari la stessa Marina Calamo Specchia, docente di Diritto costituzionale comparato: «Si può procedere perché la Costituzione è chiara sul punto e inoltre l’articolo 53 è stato anche modificato nel 2003 sancendo l’obbligo a rimuovere ostacoli rispetto alla parità di genere nelle cariche elettive. Dunque, il presidente dovrebbe prenderne atto nel decreto di indizione e superare questo tasto dolente, che tra l’altro fa subire una sperequazione, una discriminazione e una mancata omogeneità a livello territoriale».
Quindi, nessuna legge regionale necessaria, nessun ricorso imprescindibile. Abbiamo già tutto: la bellezza e la giustizia della nostra Carta costituzionale. Peccato che manchino bellezza e giustizia nelle cinque regioni, tra le quali c’è la Puglia, che non si sono adeguate. Perché? Una domanda alla quale hanno risposto da tempo tante generazioni di donne impegnate nella politica e nel sociale, tante associazioni, tante avvocatesse e tante forze politiche che si sono adoperate e si adoperano incessantemente per rimuovere il problema. Invece, la rimozione del problema è la realtà a cui assistiamo.
Invocare il maschilismo in un mondo che è solo apparentemente governato dalle donne sembra una vetero-battaglia. Guardatevi attorno: ci sono chiome femminili ovunque, direte. Certo, quelle che ci sono, sono visibili, visibilissime. Quelle che se arrivano a fare i ministri vengono additate per le mise troppo sexy o troppo oversize a seconda dei chili che si portano addosso. Quelle che finiscono «dilaniate» dal web (ricordate il caso della presidente Boldrini?) o che occupano un potere – che brutta parola – solo apparente, perché a contare davvero sono gli uomini. Pensate al numero esiguo dei rettori donna, pensate alle tante telegiornaliste onnipresenti che sì, vanno in video, scrivono, parlano, ma a decidere i palinsesti sono sempre i caporedattori e i direttori uomini.
Sarebbe bello vivere in un mondo in cui non esistesse il «genere» come elemento divisivo. Sì, sarebbe bello, ma dopo aver sistemato le sperequazioni. La verità è che il sistema delle candidature «doppie» sconvolgerebbe equilibri consolidati e probabilmente porterebbe in politica un numero di persone cercate per il loro sesso più che per la loro propensione naturale. Ma come mai questa obiezione non si fa per i candidati uomini? In tanti anni di Repubblica non possiamo dire di aver avuto sempre esempi perfetti di maschi-candidati…
La realtà è che c’è sempre un motivo per continuare a far restare le donne come invisibili. Per chi ricordi quel bellissimo romanzo di Ignazio Silone, Fontamara, tra l’altro a lungo censurato in Italia, c’è una pagina che fa riflettere: quando il piccolo universo dei contadini vuole andare a protestare in città e non riesce perché c’è da fare nei campi, i capi s’interrogano: «E chi mandiamo? Mandiamo le donne?». L’universo fantasma osannato e ignorato al tempo stesso, l’universo di finte-vere invisibili dalle quali invece la politica potrebbe dissetarsi. Purtroppo, come disse con istinto provocatorio, nel lontano 1949, Simone de Beauvoir, «l’umanità è maschile» e lo resta ancora.
È vero: non dovremmo votare un uomo o una donna, dovremmo votare una persona. Ma se Lev Tolstoj tornasse vivo e votasse in Puglia, sceglierebbe soprattutto una donna, quella che per lui è «la vite su cui gira tutto». Ah, quindi… lui già sapeva il perché di tanti ostacoli!