Sabato 06 Settembre 2025 | 18:25

L’anomalia italiana tra politica ed economia

 
Giuseppe De Tomaso

Reporter:

Giuseppe De Tomaso

economia circolare

Governare stanca, in Italia. Ma fare il presidente del Consiglio significa stancarsi e logorarsi il doppio o il triplo rispetto ai più fortunati omologhi d’oltre frontiera

Giovedì 11 Giugno 2020, 14:51

Governare stanca, in Italia. Ma fare il presidente del Consiglio significa stancarsi e logorarsi il doppio o il triplo rispetto ai più fortunati omologhi d’oltre frontiera. Se tu sei forte, se hai un forte partito alle spalle, presto dovrai pagare il conto. Perché? Troppo potere, non va bene. Sì, perché gli italiani sono speciali: soffrono il complesso del padre, sognano l’uomo carismatico, ma non appena ne trovano uno lo abbattono senza pietà, anche perché - diciamolo - l’uomo solo al comando non è una bella prospettiva.

Se, invece, tu sei un premier debole, se non hai un partito di peso a sostegno, va un po’ meglio, ma mica tanto. Prima o poi anche tu dovrai pagare il prezzo della solitudine, ossia della carenza di sponsor più o meno di grido schierati al tuo fianco. Insomma, si potrebbe parafrasare così la celebre canzone del francese Antoine, che furoreggiò più di mezzo secolo fa al Festival di Sanremo (1967): «Tu sei forte e ti tirano le pietre. Tu sei debole e ti tirano le pietre. Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai, tu sempre pietre in faccia prenderai...».

Anche se è stato designato per Palazzo Chigi dai Cinque Stelle, il presidente Giuseppe Conte non appartiene a nessuna formazione politica. Il che può essere una fortuna o, pure, una sfortuna. È una fortuna se il presidente del Consiglio sposa una linea passiva della sua funzione.

È una sfortuna se adotta un’impostazione attiva. Fino a quando, in Italia, il capo del governo si limita a muoversi da primus inter pares, il fuoco amico prende la mira verso altri obiettivi. Se, invece, il capo del governo decide di fare il premier, ossia il primus super pares, allora cominciano i guai e il fuoco amico si scatena sùbito contro di lui. Queste sono le regole di ingaggio per chi approda a Palazzo Chigi. Prendere o lasciare.
I partiti, tutti i partiti, sono restii, anzi contrari, in Italia a concedere autonomia al presidente del Consiglio, che dovrà rassegnarsi a non trasformarsi mai in primo ministro. Qualche eccezione, circoscritta nel tempo, si è verificata nella stagione semi-maggioritaria, dopo la fine (teorica) della Prima Repubblica, ma la logica proporzionalistica ha presto ripreso il sopravvento, bloccando sul nascere tutti i conati di premierato manifestati da questo o quell’ambizioso personaggio del momento.

Fossimo al posto di Conte avremmo evitato di proporre i cosiddetti Stati Generali sull’economia, sia perché, da sempre, quando si allargano i tavoli si restringono i cervelli, sia perché nulla insospettisce, irrita e mobilita rivali e alleati più di un’iniziativa di sicuro effetto (e beneficio) mediatico per il suo artefice. Molto meglio l’aurea mediocritas oraziana della forza e dell’astuzia machiavelliane.

La lezione è chiara, da decenni. Il presidente del Consiglio deve fare solo il presidente del Consiglio. Se si mette in testa di fare pure il leader, dovrà prepararsi a subire agguati e bombardamenti in rapida sequenza. Non a caso l’offensiva contro Conte è salita di tono non appena è spuntato un sondaggio che attribuisce a un ipotetico partito contiano la bellezza del 14% in caso di elezioni. Uno scenario tutt’altro che eccitante per i soci dell’attuale maggioranza di governo.
Gira e rigira, si torna sempre alla questione centrale dell’eterna crisi italiana: la governabilità, rectius l’ingovernabilità. Il sistema politico nazionale sembra congegnato in modo tale da garantire l’ingovernabilità. Nei panni della Cancelliera tedesca e degli altri governanti europei non chiederemmo, all’Italia, soltanto stabilità finanziaria, ma consiglieremmo innanzitutto stabilità politica, anche perché l’instabilità politica contribuisce in modo determinante all’instabilità finanziaria. Un sistema politico stabile favorisce la disciplina finanziaria più di mille convegni, o di cento videoconferenze mensili con tutti i premi Nobel per l’economia sparsi nel globo.

Purtroppo, l’Italia appare sempre così davanti al resto del mondo: l’economia in crisi permanente, la politica (ossia il governo) in crisi imminente. La qual cosa non è uno spettacolo confortante, e desta più di un’apprensione presso i mercati e presso i nostri principali partner continentali.

Prendiamo la Germania. Perché, chiunque si trovi alla Cancelleria, Berlino si batte come un martello sul rigore finanziario per tutti gli stati dell’Unione? Perché la Germania non vuole rivivere la tragedia degli anni Trenta, quando il mix tra irresponsabilità finanziaria e instabilità politica spianò la strada alla follia hitleriana. Furono l’iper-inflazione e l’ingovernabilità prodotta dal modello elettorale proporzionale i presupposti indiretti su cui si fondò e dilagò l’assassinificio nazista.

E anche in Italia, nel 1922, il fascismo si giovò, per la sua ascesa, del combinato disposto tra crisi economica e instabilità politica.

Morale. Le dittature, insegnava il filosofo Norberto Bobbio (1909-2004), sopraggiungono o per deficit o per eccesso di democrazia. La definizione, cioè l’equilibrio, dei poteri del governo e del suo titolare è fondamentale per la salute di un sistema democratico. Eppure la questione non importa, almeno così sembra, a nessuno. La doppia attrazione tra irresponsabilità finanziaria e irresponsabilità politica è dura a svanire e, purtroppo, può costituire di nuovo un pericolo in un Paese che ha già conosciuto, sulla propria pelle, il virus dell’anti-democrazia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)