Un cretino si aggira per l’Europa. Il cretino frequenta con ostinazione l’Italia. È proprio un cretino, nel senso di deficiente di intelligenza e di capacità di ragionare. La sua produzione di idee è limitatissima: preferisce le trovate. Non pensa, si esprime a pernacchie e lazzi, non percepisce la realtà e non la capirebbe. Sto parlando di quel tale che ha escogitato di progettare una severa limitazione alla libertà di movimento alle persone che abbiano superato i sessanta anni di età.
Non si tratta di una battuta esagerata come una bestemmia, l’azzardo di un perdigiorno gettato lì, come uno sputo in chiesa, né di una provocazione sorniona per avviare una bella lite onde passare il tempo di questi domicili coatti in cui noi tutti, giovani e vecchi, viviamo consapevolmente decisi a lottare insieme per stroncare il virus Covid-19. Il cretino si chiama fuori, evidentemente provvisto di dati anagrafici che lo emancipano dalle strettezze della sua proposta. E la spara grossa: ultrasessantenni agli arresti domiciliari. E lui a spasso a spargere il contagio delle idee prodotte dal suo cervellino da virus o ancora più piccolo.
È talmente idiota la faccenda, e crudele, che ha scatenato un putiferio con interventi giustamente furibondi e lazzi e frizzi all’indirizzo del cretino al quale, però, io imputo un ulteriore danno inferto alla convivenza civile: quello di impedirmi di fare dell’umorismo vivificatore e gagliardo «anche» sulla vecchiaia. Il danno è ingente perché, scherzando e variando sul tema vecchiaia o giovinezza, si riesce, spesso, a escogitare qualche motivata provocazione umoristica. Insomma, non si può più scherzare sugli anni che passano. Lo si è sempre fatto e l’armamentario è ingente. Ricordo, per esempio, mia madre diceva che «quando i colpi della strega sono più frequenti dei colpi di fulmine, si deve prendere atto che si sta invecchiando». La cosa, a sentire Andreotti, va presa con pacato sollievo, visto che l’alternativa alla vecchiaia è peggio. Il mio amico Luciano De Crescenzo ammetteva «di correre sempre dietro le donne, ma di non ricordare perché». E qualcuno della nostra combriccola di saggi aggiungeva che «alla mia età quando esco con una donna, il problema nasce se dice di sì». Io non posso più dire la battuta: «Le età della donna sono tre. Giovinezza, maturità, e “ti trovo benissimo”». Si poteva scherzare prima del cretino.
Il cretino si aggira per le cronache, provocatorie, spero, di giornali stampati e informatici e per il guazzabuglio che ribolle di notizie e pettegolezzi, dicerie, testi e immagini che smussano il tedio di queste giornate domestiche, propone di tenere gli «anziani» agli arresti domiciliari per consentire chi sa quale immunità ai più giovani. E la loro salvezza dalla pandemia. Il cretino ha fatto infuriare moltissimi attempati, me compreso. Solo che se mi si dà dell’«attempato» mi arrabbio. Il termine ha il tanfo di un ipocrita eufemismo e lascia pensare che la parola vecchio sia un insulto. Non lo penso, non l’ho mai pensato, sin da bambino. E i bambini sono molto intelligenti, tanto è vero che amano i vecchi. Ricambiati.
Il cretino s’imbambola in quella che lui che non sa l’inglese, ma lo usa di continuo, chiama «way of life», una via a senso unico che si stende dalla cultura del corpo per arrivare al moderno edonismo salutistico, all’efficienza tassativa, al giovanilismo dispotico. L’industria culturale avverte che si deve essere e restare giovani, sempre più giovani. Il culto del consumismo non transige su questo. Sul mercato si esita sempre di più la merce del binomio bellezza-successo. Cosa fa anche il maschio, oggi, quando constata il verificarsi naturale del processo di invecchiamento? Non si considera incamminato sul sentiero della «serena vecchiaia», opta per svalutarsi come insulso rottame, appartato residuo, inutile ingombro. Accede a un percorso ben noto alle donne da sempre: quello verso «l’inferno». Come scrivevano nel 1700, certi cretini in pieno Illuminismo.
Ma così imparano: chi progetta inferni, ancorché virtuali, prima o poi è destinato a batterne il lastrico: e stanno lì, anche i maschi, davanti a specchi impietosi, a scrutare zampe di gallina, rughette d’espressione, maligne avvisaglie di pancetta. A tavola si proclamano rifiuti severi con rinunce a fritti misti e peperonate e si brinda con bicchieri colmi d’acqua ad amori sempre più innocenti. E non potendo peccare più di tanto, prevalgono i rimpianti e soccombono i rimorsi. Ricattati dall’imperiosa moda culturale, scopriamo l’affanno di correre dietro agli idoli proclamati dalle patine dei giornali e dalla boutique di massa di cui sopra. Un’intera industria è pronta a soccorrerci, però, e pubblicizza, vende, impone consigli, diete, prodotti, merci, chincaglierie parascientifiche, ciarlatanerie d’ogni risma, fatturando cifre enormi a spese delle nostre arteriosclerosi, delle impotenze repentine, delle impietose insufficienze epatiche, degli stress da vita quotidiana, dei minacciosi rimbambimenti. Aggirarsi per questo mercato, questo sì, provoca un’ansia mostruosa. E se la smettessimo? E se accettassimo il sereno scorrere del tempo, se considerassimo la nostra semenza per quello che è e, cioè, dolcemente effimera? Se ci accontentassimo di fare una capatina ogni tanto dall’amico medico di fiducia, se riservassimo un’olimpica indifferenza per il fluire del tempo? Se praticassimo la vita all’aria aperta e una frequentazione solerte con sesso ed erotismo? Se usassimo di più del nostro corpo accontentandolo di tanto in tanto nei suoi piaceri della gola?
Se gioissimo di più di quel che abbiamo senza soffrire per quel che non abbiamo? Se, insomma, ce ne fregassimo di più? Avremmo più tempo di praticare buoni spettacoli, per esempio, e buoni libri e persone intelligenti. Quando questa «peste» sarà finita andremo a cercare chi ha fatto la proposta di ingabbiare i vecchi: spero che sarà molto, molto presto. Lui sarà ancora giovane, ma sempre, irrimediabilmente cretino.