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A chi serve un governo di unità nazionale

 
Giovanni Valentini

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Giovanni Valentini

Governo

Non c’è da meravigliarsi più di tanto che qualche politico di centrodestra, qualche giornalista o influencer televisivo dello stesso orientamento politico, invochi un governo di unità nazionale per superare l’emergenza sanitaria e avviare la ripresa economica

Mercoledì 22 Aprile 2020, 16:00

Non c’è da meravigliarsi più di tanto che qualche politico di centrodestra, qualche giornalista o influencer televisivo dello stesso orientamento politico, invochi un governo di unità nazionale per superare l’emergenza sanitaria e avviare la ripresa economica. E onestamente, una soluzione del genere potrebbe anche essere logica e opportuna in una situazione straordinaria come questa. Ma in realtà oggi servirebbe più a quella determinata parte politica che a tutto il Paese.

Servirebbe in particolare alla Lega per uscire dallo stallo in cui s’è cacciata, come documentano i sondaggi da cui risulta una progressiva erosione elettorale del partito di Matteo Salvini, presumibilmente a causa delle sue giravolte e delle sue contraddizioni. Un governo di unità nazionale servirebbe al Carroccio per annacquare le proprie responsabilità nella cattiva gestione dell’epidemia in Lombardia, la sua tradizionale roccaforte. E forse servirebbe anche per ricomporre in qualche modo la nuova frattura fra Nord e Sud che la lotta al coronavirus rischia di provocare a ruoli invertiti: basti pensare alla roboante minaccia del governatore Vincenzo De Luca di chiudere i confini della Campania se qualche regione settentrionale anticipasse i tempi delle riaperture rispetto alle indicazioni del governo.

Ma, al di là del fatto che è già difficile mettersi d’accordo all’interno dell’attuale maggioranza e che emergono divergenze perfino nell’opposizione, su quali basi si potrebbe ipotizzare la formazione di un governo di unità nazionale? A quali condizioni e con quali obiettivi? E infine, con quale presidente del Consiglio e con quale compagine ministeriale?

Aggregazione forzata - Ve lo immaginate un governo con il Movimento 5 Stelle, che è tuttora la forza di maggioranza relativa in Parlamento, il Partito democratico, Italia Viva e Leu che al momento sono suoi alleati, insieme alla Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia? Più che un’Armata Brancaleone sarebbe un’ammucchiata. Un’aggregazione forzata, priva di un comun denominatore e quindi di un’effettiva capacità operativa com’è necessario in questa complessa e difficile circostanza. E poi, chi potrebbe guidare uno schieramento così eterogeneo, una volta rimosso o destituito il premier Conte? Chi conosce bene Mario Draghi sa che l’ex presidente della Bce sarebbe assai restìo a prendersi una tale responsabilità in un contesto tanto incerto e confuso. Un governo di unità nazionale nascerebbe sulla sabbia, non avrebbe le fondamenta per stare in piedi e reggere l’urto dell’emergenza economica e sociale.

È vero che non mancano precedenti nella vita politica del nostro o di altri Paesi. Ma erano altri tempi, c’erano altri partiti e altri leader. E soprattutto, per quante differenze vi fossero, l’opposizione mostrava un atteggiamento costruttivo, collaborativo, non antagonista nei confronti della maggioranza. È accaduto di recente anche nel “piccolo” Portogallo, dove il Partito socialdemocratico, conservatore, ha deciso di appoggiare dall’esterno l’azione del governo socialista guidato da António Costa, augurandogli buona fortuna: “La vostra fortuna – ha dichiarato in Parlamento il presidente del Psd, Rui Rio – è la nostra fortuna”.

Questioni fondamentali - Qui, invece, manca una visione comune della società e dello Stato. E manca su questioni fondamentali che riguardano la solidarietà, la sicurezza sociale, i rapporti fra il governo centrale e le Regioni, e ancor più fra l’Italia e l’Unione europea. O peggio, le visioni sono divergenti, contrapposte, contrastanti. Mentre occorrono - come ha ripetuto nei giorni scorsi il presidente Conte - “decisioni politiche” di cui l’esecutivo deve assumersi la responsabilità.

Un altro conto, evidentemente, è il confronto e magari il dialogo parlamentare fra maggioranza e opposizione. Questo, sì, sarebbe più che utile e necessario all’insegna della responsabilità e della partecipazione. Non a caso qualche segnale è arrivato da Forza Italia, il nucleo originario del vecchio centrodestra, fino all’ipotesi di sostenere il governo nel caso di un’eventuale spaccatura del M5S. Da Salvini e Meloni, al contrario, sono arrivati attacchi diretti e frontali sul Mes, il meccanismo europeo salva-Stati, che pure fu approvato il 3 agosto 2011 sotto il IV governo Berlusconi, di cui facevano parte come ministri l’ex leader leghista Umberto Bossi e la stessa Meloni. Attacchi che hanno indotto poi Conte a replicare aspramente in tv, accusando i dioscuri della destra di dire “falsità” e “menzogne” che hanno indebolito il governo nella trattativa con l’Europa sulle risorse aggiuntive (si parla di circa 1.500 miliardi di euro) per uscire dalla crisi.  

Prospettiva - Con ogni probabilità, è proprio questo il fronte su cui la maggioranza giallorossa verrà messa a dura prova nelle prossime settimane. Se i Cinquestelle continuassero a rifiutare i 36 miliardi messi a disposizione dal Mes – ancorché senza condizioni, relativamente alle spese sanitarie, dirette o indirette - per preferire piuttosto i finanziamenti cinesi, come ha lasciato intendere l’ex parlamentare grillino Alessandro Di Battista, allora la stabilità dell’esecutivo risulterebbe inevitabilmente compromessa. A quel punto, piuttosto che un governo di unità nazionale, potrebbe aprirsi semmai la prospettiva di un governo tecnico, d’emergenza, di salute pubblica, sotto l’egida del Quirinale, al di fuori di uno schieramento politico e parlamentare precostituito. Ma verosimilmente sarebbe un rimedio peggiore del male, inefficace e controproducente. E le conseguenze, a parte gli interessi o le convenienze della destra populista e sovranista, ricadrebbero purtroppo sull’intero Paese.

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