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La guerra dei documenti vero rischio per la sovranità

 
Giuseppe De Tomaso

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Giuseppe De Tomaso

La guerra dei documenti vero rischio per la sovranità

C’era una volta solo il capitale agrario. Poi arrivò il capitale mercantile, seguito a distanza dal capitale industriale e dal capitale finanziario. Ora si aggiunge il capitale documediale, che segna il passaggio dalla ricchezza del denaro alla prevalenza dei dati, dei documenti

Martedì 24 Dicembre 2019, 15:42

C’era una volta solo il capitale agrario. Poi arrivò il capitale mercantile, seguito a distanza dal capitale industriale e dal capitale finanziario. Ora si aggiunge il capitale documediale, che segna il passaggio dalla ricchezza del denaro alla prevalenza dei dati, dei documenti. Il filosofo Maurizio Ferraris è tra i più acuti studiosi della rivoluzione documediale in atto, che sta cambiando pelle alla stessa società della comunicazione, insidiata quotidianamente dal potere della registrazione. Osserva Ferraris: la centralità della registrazione nel mondo sociale si manifesta attraverso la produzione di documenti, un fenomeno in verità presente sin dagli albori della civiltà umana, ma esploso negli ultimi decenni grazie al boom dei dispositivi tecnici.
Ferraris prevede che al passaggio dalle merci ai documenti seguirà il passaggio dal lavoro alla mobilitazione fino all’affermarsi di una forma di vita più vicina al comunismo agognato da Karl Marx (1818-1883) che al capitalismo perorato da Adam Smith (1723-1790). Le previsioni solitamente hanno il «difetto» di doversi scontrare con il futuro, cioè con la realtà, e spesso ne escono malconce dal duro corpo a corpo. Ma è indubbio che, mai come oggi, il vero potere è di tipo informatico, e che chi controlla i meccanismi della registrazione si candida a essere il primo vero grande Potere Forte del pianeta. Di qui la guerra silenziosa tra le superpotenze, una guerra che può fare a meno delle battaglie militari e delle stesse contese finanziarie. Tanto, chi s’impadronisce dei dati, dei documenti, s’impadronisce anche dell’animo umano.
Ogni azione dell’uomo, anche la più ininfluente, viene archiviata e produce un documento. La documentazione può risultare insignificante per il cittadino comune, ma può consegnare informazioni essenziali ai registratori umani, sempre più facilitati a calibrare profilazioni ad hoc per ciascuno di noi.

Il vantaggio del capitale documediale rispetto ai capitali precedenti è, sottolinea Ferraris, di tipo cognitivo. Consente ai possessori dei documenti di acquisire informazioni straordinarie sulla società degli uomini, sui gusti degli individui e sulle loro condizioni di salute. E siccome chi sa, può, anche un bambino potrebbe comprendere il peso che sempre di più eserciteranno e avranno i padroni della conoscenza assicurata dai dati. Saranno loro i Grandi Fratelli che gestiranno il mondo.
Eppure, nonostante la crescita costante dell’influenza algoritmica, tuttora l’attenzione mediatica si concentra più sui temi o sui nodi tradizionali che sulle questioni chiave dell’avvenire. In questi giorni, ad esempio viene concesso più spazio allo scontro, nel governo, sulle concessioni autostradali che al confronto sul piano per l’innovazione. Ma la posta in gioco sistemica riguarda il secondo tema, non il primo. Chi sarà il controllore dei nostri dati? Chi sarà ad esempio il gigante tech che diventerà il grande cloud per la pubblica amministrazione? Sarà un attore pubblico o un attore privato? Sarà italiano o straniero? Sarà collegato a una potenza estera o a un’impresa privata (o pubblica) italiana? E se fosse un’impresa nazionale, siamo sicuri che non avrebbe interessi, ramificazioni, o addirittura poteri, in una formazione politica? E se questa formazione politica fosse tutt’uno con qualche centrale straniera, a sua volta eterodiretta dal governo di casa sua? Come si vede, la questione del governo dei dati si candida ad essere, anzi già lo è, la questione delle questioni. Altro che polemica sul sovranismo. È sufficiente la pur piccola distrazione su una materia come questa per consegnare a magnati esterni al Belpaese una password risolutiva, più efficace di un missile atomico.

La Cina e la Russia, ma non solo loro, sono particolarmente attive sul fronte informatico. A dispetto della loro storia, spesso segnata da continui sanguinosi conflitti militari, oggi sono in prima fila nel coccolare e potenziare il loro sharp power sulla Rete cui fa riferimento, nel titolo, il bel libro di Paolo Messa. Ovviamente l’America non sta a guardare, così come le altre potenze meno ingombranti. Ecco perché si gioca qui, a iniziare dall’infrastruttura 5G, la madre di tutte le partite. Del resto, i continui colpi bassi tra Usa e Cina, a suon di dazi, in realtà sono diretta emanazione del vero mega-conflitto in corso, quello sul governo e sul controllo dei dati.
L’Italia, per ora, si muove a zig-zag. A tratti dà l’impressione di aver compreso la portata e la gravità della sfida in atto, a tratti no.
Noi diciamo solo una cosa. Sono due, oggi, i principali ostacoli all’autonomia e alla sovranità di un popolo: il debito pubblico (che lo rende dipendente dai finanziatori-soccorritori esteri); e la gestione dei documenti, che può produrre la colonizzazione di un Paese senza che quest’ultimo se ne renda conto.

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