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Se il gadget di Verona è un feto di plastica

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

Se il gadget di Verona è un feto di plastica

«Il congresso sulla Famiglia di Verona da subito, però, è diventato il nuovo terreno di scontro per la maggioranza gialloverde»

Sabato 30 Marzo 2019, 14:08

Da ieri è in corso a Verona il Congresso mondiale delle famiglie. Di per sé è una lodevole iniziativa, come lodevoli sono tutte le iniziative in cui si discute, ci si confronta, si tirano fuori idee e proposte. Quello di Verona da subito, però, è diventato il nuovo terreno di scontro per la maggioranza gialloverde. Da un lato la Lega, favorevole alle idee conservatrici alla base della manifestazione. Dall’altro i 5Stelle che, ritenendo improponibili i temi emersi alla vigilia, hanno disertato la convention e hanno vietato agli iscritti al Movimento di parteciparvi. E infatti ha suscitato scalpore l’intervento, ancorché «a titolo personale», secondo la nota formula assolutoria da ogni responsabilità, della senatrice pentastellata Tiziana Drago.

Ma al di là dell’eterno scontro fra le due inconciliabili anime del governo, resta il nocciolo della questione: la crisi della famiglia.
L’obiettivo della manifestazione di Verona è di riaffermare il valore unico della cosiddetta «famiglia tradizionale», ovvero quella formata da padre, madre e - possibilmente - più figli. Insomma la famiglia da sempre predicata dal cristianesimo, con tutto quel che ne consegue rispetto alla morale sessuale, all’aborto e agli altri diritti connessi. Non a caso ieri ai partecipanti è stato distribuito un gadget di dubbio gusto: un feto in plastica (ahimè chiamato «Michele») per ricordare - secondo le cifre fornite dal leader del family day, Gandolfini - i 6 milioni di bambini «uccisi» con la legge sull’aborto.

L’estremismo con cui vengono proposte alcune scelte impedisce un qualsiasi serio discorso sul tema della famiglia in crisi. Che è un fatto vero, preoccupante e da cui origina la disgregazione sociale che stiamo vivendo. Improntare il Congresso a una radicalizzazione all’americana (anima dell’organizzazione è Brian Brown, un quacchero convertito e padre di nove figli) dove i cattolici fondamentalisti sono pronti a compiere attentati terroristici contro le cliniche abortiste, forse non è la strada giusta. Sebbene in questo momento storico il radicalismo sia funzionale, in ogni campo, a quella logica della polarizzazione delle opinioni, per cui si vede solo il bianco e il nero, senza nessuna della cinquanta sfumature di grigio che sono nel mezzo.

Allora la famiglia tradizionale da una parte, le «famiglie arcobaleno» dall’altra; le persone «normali» da una parte, le persone omosessuali dall’altra; le famiglie consacrate dal vincolo del matrimonio da una parte, le famiglie di reprobi dall’altra. Peccato, però, che molti dei vip italiani partecipanti, a cominciare dall’entusiastico ministro Salvini, non siano campioni di fedeltà a quel vincolo indissolubile sancito dal sacramento del matrimonio cattolico. Ma nella polarizzazione delle opinioni questo non conta, ciò che vale è schierarsi sotto la bandiera bianca o quella nera. Il tempo della mediazione, del dialogo, del confronto è stato messo al bando perché dà troppo spazio alle persone intelligenti e di buon senso. Oggi è la mediocrità (neppure aurea) a prendere il sopravvento e a essere imposta come valore. Per cui nessuno pone la domanda se tornare a parlare dell’aborto negli stessi termini in cui lo si faceva durante il referendum di quarant’anni fa non sia per caso uno sterile salto all’indietro.

La famiglia vive una grave crisi perché in Italia scarseggiano politiche di sostegno che non siano mance elettorali; perché la situazione economica allunga la permanenza dei giovani con mammà e papà rendendoli dipendenti e quindi fragili e timorosi di fronte alle difficoltà. A Verona forse sarebbe stato più utile provare ad affrontare il tema dei femminicidi e delle violenze sui minori che avvengono, nella maggior parte dei casi, proprio all’interno delle famiglie. Forse si sarebbe potuto parlare anche dell’incomunicabilità generata dall’utilizzo smodato e in parte errato della Rete. Le famiglie hanno sviluppato, in nome del sacrosanto principio della sicurezza, forme di sorveglianza h24 sui loro figli, non rendendosi conto che questo li fa crescere immaturi e irresponsabili, come dimostrano i fatti che avvengono in quei pochi momenti in cui i ragazzi riescono a sfuggire all’ipercontrollo.

Insomma se si crede che la famiglia sia ancora la prima cellula della società, come già insegnava Cicerone oltre duemila anni fa, allora i problemi da affrontare prioritariamente non sono l’aborto o le famiglie gay. Anche se questi temi sono utilissimi a creare una tranquillizzante identificazione che porta a schierarsi e a sentirsi animati da un sacro furore. Sono i meccanismi sperimentati dal tifo calcistico e ora sublimati dalla politica. Solo che la famiglia non è un gioco, anche se oggi è in gioco il suo destino.

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