Solo pochi anni fa, un risultato come quello delle regionali lucane avrebbe provocato un terremoto a livello centrale. La vittoria del centrodestra in Basilicata è l’ultima tappa di un tour i cui ultimi successi si sono registrati in Trentino, Friuli Venezia Giulia, Molise, Abruzzo e Sardegna. Ma Matteo Salvini, il mattatore di queste corse, non manifesta alcuna intenzione di far saltare il banco nazionale. Certo, a maggio si vota per le europee. Un eventuale nuovo boom della Lega, unito a un eventuale nuovo sboom del M5S, potrebbe rimettere tutto in gioco e spingere il Capitano leghista a voler capitalizzare in seggi parlamentari l’ampio consenso raggiunto nel Paese e ratificato dal voto nelle regioni. Ma il conducente del Carroccio preferisce azionare il freno.
Dipendesse solo da Salvini, il governo Conte potrebbe e dovrebbe durare cinque anni e magari presentarsi, a fine corsa, davanti all’elettorato per chiedere il bis. Salvini si trova in una condizione ideale: tanto potere, poca responsabilità (il premier non è lui). Il massimo per chi vuole staccare dividendi senza dover rispondere a nessuno sui possibili errori, in corso d’opera, di un esecutivo.
Ma spesso, anche in politica, sono le circostanze a mutare il corso degli eventi. Intanto. I Cinque Stelle riuscirebbero a conservare un’accettabile compattezza in caso di regressione alle europee? E un governo con un socio ammaccato avrebbe la forza di varare una manovra economica che, di sicuro, non regalerà cioccolatini a nessuno, anzi, chiederà pesanti sacrifici per quasi tutti? E ancora. Non spunterà qualcuno nella Lega che pretenderà di concretizzare al più presto il progetto dell’autonomia regionale differenziata che, al dunque, potrebbe creare grossi problemi, a Salvini, proprio nel Mezzogiorno dove il leader leghista sta mietendo raccolti che qualche mese fa nessuno avrebbe mai immaginato?
Salvini non muore dalla voglia di tornare alle urne, anche perché lui è costantemente in campagna elettorale. Ma, oggi, i numeri parlamentari dicono che lui vale la metà di Di Maio, mentre i numeri elettorali spiegano che lui vale il doppio di Di Maio. Difficilmente questa paradossale situazione parlamentare potrà durare a lungo. Le contraddizioni, si sa, vanno affrontate con tempestività prima che sfuggano di mano e producano effetti indesiderati.
Tutti soffrono, in Europa. Ma l’Italia soffre di più. E in Italia il Meridione soffre più di tutti. L’Italia è al bivio tra due programmi di austerità: meno spese o più tasse. Meno spese vuol dire meno recessione. Più tasse significa più depressione. In ogni caso entrambe le scelte non sono indolori. Chi si assumerà l’onere di bussare nuovamente a quattrini nelle case degli italiani, specie all’indomani, tra pochi mesi ormai, dell’addio di Mario Draghi alla Bce, dove l’ex governatore di Bankitalia è riuscito a proteggere l’Italia dagli assalti della speculazione? Il governo in carica? Bah... È vero che il pompaggio monetario garantito finora da Draghi potrebbe essere rilanciato, sotto altre forme, dal leader cinese Xi, che già detiene parte dei titoli del debito pubblico americano. Ergo potrebbe estendere queste operazioni di soccorso anche al Belpaese. Ma, nel frattempo, l’Italia rischia la burrasca perfetta.
Il Mezzogiorno sta ancora peggio e con l’autonomia differenziata, il cui obiettivo reale è approdare a una legislazione regionale esclusiva e autarchica, lo stato dell’arte potrebbe vieppiù aggravarsi, perché, a tassazione invariata, arriverebbero meno soldi mentre, solo a tassazione rialzata, si potrebbero salvaguardare i quattrini che planano adesso.
Salvini non deve trascurare i rischi dell’autonomia differenziata. Uno, perché l’autonomia potrebbe spaccare il Paese, mentre la nuova Lega parla solo di italiani e italianità. Due, perché l’autonomia potrebbe creare una montagna di grane per Salvini medesimo. Non ci vuole molto in politica (vero, Renzi?) a disperdere patrimoni elettorali stratosferici: e il Sud potrebbe ritirare la patente fiduciaria assegnata a Salvini qualora dovesse accorgersi che l’autonomia rafforzata (per il Nord) costituisce una colossale fregatura. Quasi certamente lo stesso Salvini si rende conto del pericolo «autonomia».
Infatti ne parla malvolentieri. In ogni caso egli dovrà sudare più di un pugile sul ring per fermare l’anima primordiale, cioè indipendentistica, della Lega. Anche questo è un nodo che potrebbe indurlo a invocare lo scioglimento delle Camere e a rinviare la pratica alla prossima legislatura.
Ci sono, dunque, molteplici variabili che potrebbero contribuire ad affrettare il ricorso al voto anticipato, non ultima la difficoltà sempre più palese di una linea comune tra i due vicepremier in concorrenza tra loro. E, sia pure a malincuore, Salvini forse si troverà costretto a tenerne conto. Con la (pensiamo benevola) neutralità del Quirinale.