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La memoria dei briganti rivive qui

La memoria dei briganti rivive qui

Briganti

Le truppe unitarie arrestarono intere famiglie sospettate di fiancheggiare i criminali

Giovanni Rivelli

25 Settembre 2018

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Il generale Ninco Nanco, con alle spalle un passato da giocatore d’azzardo e criminale comune, o il generalissimo Carmine «Donatelli» Crocco che nelle sue memorie dettate in prigionia mette a motore della rivolta le ingiustizie sociali e la fame. Dopo 150 anni e passa il dualismo sul brigantaggio è ancora qui, arricchito da chi oggi cerca di caricare sulle spalle di quell’esercito di disperati l’intera questione meridionale e chi derubrica l’intera vicenda tra criminalità comune e resistenza al nuovo.

Una storia da interpretare ancora, ma una storia indubbiamente di ferocia e di sangue. Tra il maggio 1861 e il febbraio 1863 le truppe unitarie uccisero o fucilarono 7.151 briganti oltre a distruggere interi villaggi e arrestare intere famiglie sospettate di fiancheggiare i briganti o semplicemente imparentate con loro. Cifre che videro sull’altro fronte centinaia di bersaglieri e soldati perdere la vita.

Tutto questo sommovimento che si registrò nell’Italia meridionale ebbe cuore e origine proprio nella Provincia di Potenza, e precisamente in quel Vulture Melfese centrale tra Campania e Puglia dove la guerriglia ben presto si propagò. Le prime avvisaglie si ebbero nell’estate del 1860 ad opera di gruppi sporadici. Singole bande costituite da componenti dell’esercito borbonico allo sbando si ingrossarono man mano dall’arrivo di quanti avevano combattuto al seguito di Garibaldi e vennero allontanati dopo la presa di Napoli, quando l’eroe dei due mondi decide di allontanare dal suo seguito chi aveva compiuto reati. Ma quei gruppi fino ad allora dediti alla razzia e alle rapine si ingrossano anche di contadini a cui i cambiamenti di «padroni» aveva sottratto quella terra che lavoravano conto terzi, di giovani che rifiutavano l’arruolamento nell’esercito sabaudo, di disperati di ogni genere.

 È così che quando l’8 aprile del 1861 c’è il primo atto organizzato, ossia l’assalto a Ripacandida cui seguirà quello di Venosa, ci sono circa 2mila persone agli ordini di Crocco e Ninco Nanco. In quegli anni, in quell contrade, chi non era coi «piemontesi» era coi briganti. E se l’esercito dei boschi era pieno di banditi e grassatori, l’atteggiamento dell’esercito venuto dal nord non era quello dei liberatori ma degli occupanti. Difficile scegliere, difficile in particolare sotto la spinta di una propaganda di chi contrapponeva la Croce alle nuove idee che venivano dalla Francia. Fu su questa linea che lo spodestato Francesco II delle Due Sicilie provò a trasformare in un movimento di resistenza i briganti con l’invio del generale spagnolo Josè Borjes. Ma se l’alto ufficiale catalanò riuscì a inquadrare sotto il profilo militare quelle improvvisate bande di tagliagole (e provò, sia pure invano, a dare l’assalto a Potenza a novembre del 1961) non ebbe altrettanta fortuna nel fare di un esercito di disperati un fronte di restaurazione e, isolato, fu costretto a fuggire verso lo Stato Pontificio in un tragitto durante il quale venne catturato e ucciso dall’esercito dei Savoia.

 I briganti andavano avanti da soli con una tecnica di guerriglia che gli storici vogliono sia nata proprio qui. Ma la reazione sabauda fu veemente. Stato d’assedio, leggi speciali, 120mila soldati;, il 13 marzo 1864, tradito da Giuseppe Caruso, viene catturato e ucciso nei pressi di Avigliano Ninco Nanco, il successivo 25 luglio viene sorpresa la banda di Crocco che, ormai con pochi uomi, fugge verso lo Stato Pontificio sperando in una grazia che non ci sarà e finisce i suoi giorni in carcere.

 Il brigantaggio, almeno nelle sue manifestazioni organizzate, è finito. Non i soprusi, le disattenzioni, le decisioni calate dall’lato su una terra ch doveva essere «unificata» e si è sentita conquistata. E che per questo associa il suo desiderio di rivalsa contro i conquistatori agli unici che ebbero il coraggio di opporsi, quell’esercito di pezzenti che prese il nome di briganti.

Un sentimento che esula dalle ragioni storiche e che rivive ancora oggi nello spettacolo della Grancia che si ripete in estate nei boschi di Brindisi di Montagna. «Storia bandita», il titolo della rappresentazione, a testimonianza di come sia forte il desiderio di un’identità che un esercito venuto dal nord ha disprezzato. «Questa è Africa altro che Italia - diceva il generale Enrico Cialdini - i beduini al confronto di questi cafoni sono latte e miele».

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