Castello di Melfi
Bianca Tragni
25 Settembre 2018
Per Federico II la Basilicata era il luogo d’origine dei suoi avi materni, i Normanni. A Melfi, nel 1059, Roberto il Guiscardo aveva stretto un patto con Papa Nicolò II per cui la sua dinastia poté conquistare e dominare tutto il Sud, togliendolo a Longobardi e Bizantini. Melfi ne fu la capitale e il Guiscardo vi costruì 4 torri unite da un muro. Federico II, tornato dalla Germania dove era andato a riprendersi i territori dei suoi avi paterni Hohenstufen, ingrandì di molto quel primo castello degli Altavilla, circondandolo di possenti mura rinforzate da torri poligonali. Ne fece la sua residenza preferita in Basilicata e vi celebrò alcuni fra gli atti più importanti del suo Regno. Nei continui viaggi lungo i suoi sterminati territori, lo Svevo attraversò tante volte la Basilicata, toccando e lasciando tracce in almeno 10 luoghi (Acerenza, Atella, Lagopesole, Lavello, Melfi, Policoro, Rapolla, San Fele, Venosa, Vulture). Proprio sul Vulture, tra Melfi Venosa e Rapolla, i Normanni avevano posto il loro nido d’aquile e da lì volarono su tutto il sud. Federico, l’ultima grande aquila della dinastia, sul Vulture amava andare a caccia coi suoi amati falconi. E proprio a Melfi cominciò a scrivere il suo ponderoso trattato “De arte venandi cum avibus”, un’opera scientifica di ornitologia ed etologia che lo impegnò tutta la vita; tanto che quando morì non l’aveva ancora terminata. Il suo primo soggiorno documentato a Melfi è del luglio 1227, mentre a Brindisi si radunava un esercito di 40.000 uomini che egli avrebbe guidato per la Crociata in Terrasanta, tanto voluta dal Papa. E a Melfi tornò a fare il Natale del1229, dopo i “fattacci” della fallita Crociata: l’epidemia, la dispersione dell’esercito, la sua malattia a Otranto e la morte di suo zio Ludovico di Turingia, il rientro in Italia e le cure a Pozzuoli; la scomunica del papa; poi la ripartenza per la “Crociata incruenta”, nel senso che egli conquistò Gerusalemme senza colpo ferire, solo trattando col Sultano Al Kamil; la collera del papa che sparse la voce della sua morte per invadere il suo regno; il suo repentino ritorno e la punizione delle città che erano passate col papa. Restò a Melfi per tutto gennaio, avviando le trattative di pace col grande nemico, attraverso il Gran Maestro dell’Ordine Teutonico e l’Arcivescovo di Reggio, suoi emissari. Si giunse così alla pace di San Germano. Federico in settembre torna a Melfi e in ottobre vi fonda la scuola di Logica e Umanità per i funzionari del Regno. A Corte svolge una intensa vita culturale, circondandosi dei migliori ingegni del tempo; lui scrive il “De Arte” e il suo Gran Maniscalco Giordano Ruffo scrive l’”Ippiatria”, il più importante trattato di medicina veterinaria sui cavalli. Grandi allevamenti Federico ne aveva a Palazzo San Gervasio; e lì poi suo figlio Manfredi continuò e ingrandì quella vera fabbrica di forza lavoro e di mezzi di trasporto e di guerra, qual era a quel tempo il cavallo. L’anno dopo, fatta un Curia Generale del Regno a Taranto, andò a riposarsi a Policoro, sul mare, prima di riprendere il suo cammino verso Lucera e il Nord.
Le Costituzioni Melfitane
Poi tornò a Melfi e per nove mesi preparò la Grande Assise di tutti i Baroni e Vescovi del Regno, per presentare il suo capolavoro giuridico: il Liber Augustalis. È un insieme di 200 leggi con cui Federico II regolamentò tutto, dal diritto pubblico al diritto privato, con aspetti che non esiteremmo a definire moderni, come la difesa della donna. Federico emanò questo corpus legislativo in una solenne cerimonia nel salone del Castello di Melfi. Era l’estate del 1231. Un anno denso di avvenimenti, fra cui la nascita, dalla amatissima amante Bianca Lancia, di Manfredi, il figlio prediletto. Forse nacque in Basilicata a Venosa, forse in Puglia a Gioia del Colle, sta di certo che Federico festeggiò l’evento a Melfi. Tante furono le opere che egli realizzò in questo periodo di pace cui seguirono altri fatti drammatici, come la ribellione del suo primogenito Enrico lo Sciancato che il padre stroncò, condannandolo al carcere a vita. Dalla Germania, di prigione in prigione, lo sciagurato erede diseredato, giunse in Basilicata, a San Fele un Castellaccio - prigione già dei Normanni. E qui cominciano le tragedie sveve in Basilicata. Enrico ci resta per ben 4 anni, per poi andare a sfracellarsi in un dirupo calabrese mentre lo trasferivano ancora più Sud. A Melfi re Enzo, altro figlio illegittimo dell’imperatore, manda alcuni dei tanti prigionieri ecclesiastici da lui fatti nella Battaglia della Meloria, la più grande battaglia navale del Medioevo combattuta nel mar Tirreno all’isola del Giglio contro i prelati che andavano a Roma per scomunicare e deporre Federico II. Lo scontro col papa e i comuni del Nord si faceva sempre più cruento. Federico dal 1240 al 1243 torna in Basilicata solo in estate, soggiorna a Melfi per riposarsi, tonificarsi e riprendere l’epica lotta. Eppure ancora legifera, crea e organizza con la sua frenetica azione riformatrice. Nell’estate del 1249 è ancora lì, a preparare un’altra spedizione contro i Lombardi. Ma è l’anno fatale: la sconfitta di Parma, il figlio Enzo catturato dai bolognesi, la morte in guerra dell’altro figlio Riccardo di Teate, la su salute che vacilla. La figlia Violante, contessa di Caserta, gli consiglia di tornare a ritemprarsi in Basilicata, la terra del riposo. E allora lui va nel recente castello di Lagopesole, che poi sarà più frequentato e goduto dal figlio Manfredi. Ma siamo già nel settembre 1250. A dicembre la morte lo ghermì mentre era a caccia nel Sub Appennino dauno, quella catena montuosa di confine tra Puglia e Basilicata, le terre più amate dal Puer Apuliae. Dopo tre anni il suo erede legittimo Corrado IV di Svevia convoca a Melfi il Parlamento dei Baroni del Regno. Vuol fare quello che non riuscì a suo padre: attaccare il Papa, conquistare Roma. Ma ha un carattere chiuso, ombroso, sospettoso. Odia i fratelli che vissero vicini al grande padre, mentre lui era solo in Germania. Cerca di emarginare Manfredi, fa assassinare Enrico Carlotto, l’ultimo figlio legittimo di Federico II a San Fele nel castellaccio delle storie più trucide di questa saga. Ma le tragedie sveve in Basilicata si compiranno proprio con lui, Corrado IV, che muore a Lavello mentre ammassava truppe e denaro per l’ultimo balzo contro Roma.
L’ARTE in Basilicata in età federiciana
La Basilicata ebbe anche degli artisti in età federiciana, specie scultori, come la triade Sarolo da Muro Lucano, Mele da Stigliano e Melchiorre da Montalbano. Di loro restano capitelli a stampella con potente figurazione come quelli della Badìa di Sant’Angelo a Montescaglioso, o un frammento della cattedra episcopale di Venosa. Altre opere, specie di Sarolo il maggiore dei tre, sono a Pierno, Rapolla, Monticchio, Acerenza (portale del Duomo esemplato su quello di San Nicola a Bari). Era il tempo delle Cattedrali Romaniche e mentre Federico II, nel 1232, costruiva l’unica del suo fervore architettonico, quella di Altamura; a Matera in quegli stessi anni, si costruiva in cima alla Civita, fra i due Sassi, il Barisano e il Caveoso, la Cattedrale di Santa Maria della Bruna, con una facciata in tutto simile a quello originario che fece Federico ad Altamura, poi crollato nel ‘300. E il mistero è: chi ha “copiato” da chi?Ma il capolavoro lucano federiciano è l’affresco di Melfi nella chiesa rupestre di Santa Margherita. Rappresenta un re, una regina e un ragazzo, con tutta probabilità Federico, la terza moglie Isabella d’Inghilterra e il figlio Corrado. La cosa macabra è che di fronte a loro ci sono 3 scheletri che ricordano come la Morte ci sia per tutti, ed è uguale per tutti. Forse il modesto fraticello che affrescò quelle pareti aveva visto i tre regali personaggi in tenuta da caccia, in uno di quei boschi del melfese che Federico II amò tanto e con tanta passione frequentò.
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