Sabato 06 Settembre 2025 | 23:27

«Bar Apollo»: un viaggio mentale tra città, provincia e ritorno a sé stessi

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

«Bar Apollo»: un viaggio mentale tra città, provincia e ritorno a sé stessi

Nel debutto del collettivo pugliese alessandro fiore, le canzoni diventano luoghi immaginari dove tempo e memoria si intrecciano, sospesi tra realtà e illusione

Sabato 21 Giugno 2025, 12:55

C’è un luogo, tra i ricordi e l’immaginazione, dove il tempo si ferma, il caffè ha il sapore delle cose eterne e le canzoni sembrano uscire da una vecchia VHS: si chiama «Bar Apollo», ed è il punto di partenza del primo EP del collettivo pugliese alessandro fiore, uscito il 20 giugno per Dischi Uappissimi (distribuzione Artist First). Dopo il successo del singolo «sei l’america quando chiudo gli occhi», osannato dalla critica per la sua delicatezza visionaria, il collettivo torna con un progetto che è un vero viaggio mentale alla ricerca delle radici, tra cantautorato italiano, pop psichedelico e malinconie da periferia.

Il protagonista – che si chiama proprio alessandro fiore, come il collettivo – parte da Terra, attraversa la Città con le sue false promesse e, nel momento di crisi, si rifugia in questo bar sospeso nel tempo, dove però scopre che anche lì la felicità non è reale. Il vero ritorno a casa avviene quando capisce che le sue radici non affondano in un luogo, ma in se stesso.

Registrato in inverno alla Selva di Fasano, tra poderi e ville di campagna, l’EP prende ispirazione da mondi sonori distanti ma coerenti: dai Kings Of Convenience alla psichedelia dei Tame Impala, fino alle melodie dreamy di Men I Trust e Slow Pulp, senza dimenticare il respiro del cantautorato italiano di Battisti e Dalla.

«Bar Apollo» è un viaggio mentale tra alienazione e radici: come è nato questo nome per lEP?

«Bar Apollo è il nome di un bar alla Selva di Fasano, un luogo che sembra quasi sospeso nel tempo dove abbiamo deciso di fondare il collettivo e lavorare ad un disco. In modo del tutto inaspettato quel nome ha finito per incarnare totalmente le vibrazioni e soprattutto il racconto che stava piano piano crescendo sotto le nostre mani».

Il protagonista del disco è “alessandro fiore, ma anche il nome del collettivo. Che rapporto c’è tra identità personale e collettiva nel vostro progetto?

«alessandro fiore è un nome inizialmente nato un po’ per gioco. Ma, mentre costruivamo le canzoni ci siamo accorti che ci piaceva l’idea che ci fosse quasi una sorta di “attore/registadelle storie che volevamo raccontare, quasi come se noi fossimo solo il mezzo di comunicazione. In questo rapporto lui è diventato un po’ parte di noi come noi siamo diventati parte di lui».

Che valore hanno i luoghi nella vostra formazione musicale e nella vostra scrittura, se un luogo (come può essere questo bar, o qualsiasi altro in cui vi siete trovati a scrivere) vi ha ispirati

«Sono fondamentali. Durante tutta la fase di scrittura c’è stato un dialogo costante tra il luogo reale e la sua controparte immaginaria in questo racconto. Un esempio rappresentativo di questo è proprio il Bar Apollo che nella realtà è un bar di una piccola frazione: la Selva di Fasano in provincia di Brindisi, ma nella narrazione diventa un bar nello spazio, su un pianeta satellite che orbita vicino al “pianeta città”. Ciò che li unisce è la loro natura sospesa: luoghi senza tempo, fatti per fermarsi. Spazi di passaggio che restano immutabili, lontani dalla vita che scorre».

Città, provincia, ritorno a casa: nei brani si avverte un dialogo costante tra fuga e ritorno. Che significato ha oggi per voi tornare a casa?

«Non significa necessariamente la fine di qualcosa, anzi è una parte di un viaggio che continua costantemente. Tutto ciò che viviamo non segue una linea retta, ma si muove in cerchio. Tornare a casa diventa così una metafora: significa ritrovare il contatto con la realtà, mettere i piedi per terra e accettare che la realtà è fatta di momenti belli e di momenti brutti in costante rapporto tra loro».

Tra le influenze citate ci sono Battisti, Dalla, Tame Impala e Men I Trust. Come siete riusciti a far convivere queste anime diverse nel vostro suono?

«È stato un processo naturale, non ci siamo dati nessun tipo di reference durante la scrittura. Il nostro obbiettivo era quello di creare una vibe” che ci facesse immergere completamente nella storia che volevamo raccontare. In questo flusso creativo, tutti i nostri ascolti sono entrati a far parte di questo progetto, diventando una parte del linguaggio».

Il vostro progetto invita alla lentezza e alla condivisione, in controtendenza rispetto ai ritmi della musica attuale. Come vivete questa scelta nel panorama odierno?

«La viviamo come si fa in provincia, lentamente, assaporando e curando ogni dettaglio, un approccio che richiama i mestieri antichi, quelli dei nostri nonni. La logica della produzione di massa non volevamo che facesse parte né di questo progetto né del modo in cui lavoriamo insieme con tutto il gruppo di Dischi Uappissimi».

Qual è il prossimo passo per il collettivo alessandro fiore

«Abbiamo un po’ di idee che ci girano in testa e che con calma cercheremo di realizzare per raccontare al meglio questa storia e le prossime».

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