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Uno per tutti, tutti a Bari con Di Tonno-Matteucci-Galatone: ecco i Tre Moschettieri

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

Uno per tutti, tutti a Bari con Di Tonno-Matteucci-Galatone: ecco i Tre Moschettieri

Giò Di Tonno, che esordisce come compositore e arrangiatore, racconta l’opera in arrivo il 6 e 7 dicembre al TeatroTeam

Giovedì 28 Novembre 2024, 10:35

10:36

Il capolavoro di Alexandre Dumas rivive in teatro: I Tre Moschettieri - Opera Pop, nuova versione musicale italiana dell’opera, prodotta da Stefano Francioni e dal Teatro Stabile d’Abruzzo, approda al TeatroTeam di Bari il 6 e 7 dicembre, con un cast strepitoso che vede nei ruoli di Athos, Porthos e Aramis rispettivamente Giò Di Tonno, Vittorio Matteucci e Graziano Galatone, tre miti assoluti del musical noti in tutto il mondo per il successo di Notre Dame de Paris, con Giò che debutta come compositore e arrangiatore. La direzione artistica e regia sono di Giuliano Peparini, le coreografie di Veronica Peparini e Andreas Müller, mentre il Maestro d’Armi Renzo Musumeci Greco ha curato la preparazione dei duelli.

Dopo uno strepitoso sold out a Isernia per la data zero, lo spettacolo catapulta la platea nella Parigi dell’800 in nome dell’amicizia, dell’onore, della vendetta, tutti temi al centro del romanzo, ancora attuali nel XXI secolo. «È l’inizio di una nuova vita artistica - confessa Giò Di Tonno alla Gazzetta - che mi vedrà sempre più impegnato come compositore. Ho messo tutto me stesso in questo progetto che finalmente vede la luce».

Com’è andata l’anteprima, cosa possiamo aspettarci?

«Molto bene, siamo soddisfatti, ovviamente c’è ancora qualcosina da limare, ma sono le ultime prove, i riscontri sono positivi. E poi essendo, appunto, autore delle musiche, sentivo addosso una grande pressione e responsabilità. Mi dicono sia andata bene... vedremo!».

Come è nata l’idea di costruire questo spettacolo?

«Mi sono fatto carico di un’intuizione del maestro Musimeci Greco: facevamo i Promessi Sposi, dietro le quinte eravamo sempre io, Vittorio e Graziano, giocavamo con le spade, e lui esclamò: “Siete proprio i tre moschettieri, siete perfetti”. Sono passati quindici anni, ma quella frase ha continuato a rimbombarmi in testa e ho cominciato a buttare giù un po’ di brani. È vero, sono prevalentemente un interprete, ma ho sempre composto musica, e ridurre un romanzo di mille pagine in circa quaranta brani è stata per me un’impresa oceanica».

In percentuale l’opera quanto è rimasta fedele all’originale?

«Non è stato semplice, ma siamo stati piuttosto attinenti, mettendoci qualche elemento in più specialmente per dare risalto alla storia d’amore tra D’Artagnan e Costanza. Un altro tema che Dumas affronta e sviscera, oltre l’amicizia, l’unione, il coraggio. Poi i protagonisti non sono solo i moschettieri, è tutta la storia, non aveva senso forzare la mano».

Siete un trio di colossi del musical italiano, la scelta del ruoli è avvenuta naturalmente?

«In questo caso sì, questione di physique du rôle e carattere dei personaggi. Graziano è più guascone, è uomo del Sud, era perfetto come Aramis. Io anche nella vita sono più misurato, posato, Vittorio è un tipo godereccio, anche rotondetto nelle misure, non poteva che essere Porthos».

Vi lega un’amicizia ultraventennale, qual è il valore aggiunto sul palco?

«Sono felice che abbiano accettato l’invito a prendere parte a questo spettacolo praticamente a scatola chiusa. Non ho precedenti come compositore, ed è stato bello che si siano voluti lanciare in questa avventura con me. A volte è difficile rimanere seri, condividiamo così tante cose, ma trasferiamo questo legame sul palco, e ci basta uno sguardo per capirci. Lo dico senza retorica, non ci sono invidie, atteggiamenti da primadonna, ci rispettiamo sul serio».

Sente così tanto la pressione di questo debutto, nonostante gli anni di esperienza?

«Ripeto, per me è un esordio assoluto. Il pubblico compra un biglietto senza sapere a cosa va incontro. Sono sicuro sulla bellezza dello spettacolo, poi c’è lo zoccolo duro di fan che ci seguono dai tempi di Notre-Dame, per un attimo ho avuto paura del confronto, ma alla fine sono due spettacoli completamente diversi, li accomuna solo Parigi, anche se qui siamo nell’800».

La sensibilità verso il mondo classico ce l’aveva da ragazzino?

«Divoravo libri e romanzi, mi piacevano tanto, poi la musica ha preso il sopravvento ma ho conservato quella forma di introversione che mi ha aiutato a diventare quello che sono, a vivere di questo mestiere. Benedetti siano quei momenti di solitudine. Anche per comporre quest’opera mi sono chiuso e concentrato il più possibile, figli permettendo».

Insomma, lei e Athos in cosa siete uguali e in cosa diversi?

«Siamo riflessivi, con un forte atteggiamento paterno, io sono padre, lui provava sincero affetto per D’Artagnan. Banalmente, a differenza sua, non ammazzerei nessuno».

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