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La «Vocazione rivoluzionaria» di O'Zulù, oltre i 99 Posse: la sua storia in una biografia «non autorizzata»

La «Vocazione rivoluzionaria» di O'Zulù, oltre i 99 Posse: la sua storia in una biografia «non autorizzata»

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

La «Vocazione rivoluzionaria» di O'Zulù, oltre i 99 Posse: la sua storia in una biografia «non autorizzata»

Il libro di Luca Persico, pubblicato da Il Castello/Chinaski Edizioni, arriva alla Feltrinelli di Bari il 20 novembre: «Fiero di aver lottato contro un futuro prefabbricato» 

Martedì 19 Novembre 2024, 16:28

20 Novembre 2024, 09:06

Un'autobiografia «non autorizzata»: così Luca Persico, più conosciuto come O'Zulù, frontman dei 99 Posse e personaggio complesso per le sue posizioni politiche e sociali, descrive il suo primo lavoro, Vocazione Rivoluzionaria, volume pubblicato da Il Castello/Chinaski Edizioni che verrà presentato oggi pomeriggio, 20 novembre, alle 18.30 alla Libreria Feltrinelli di via Melo a Bari.

Interverranno anche Nico Caldarulo e Silvio Antonio Gelao (Suoni Mudù) per raccontare le sfaccettature di un uomo amato e odiato per la sua musica e la sua ideologia, che superati i 50 anni ha deciso di raccontarsi senza veli, tra vita e carriera, dalla difficile infanzia segnata dal bullismo («ero un occhialuto bambino sovrappeso»), fino alle prime militanze politiche, i centri sociali, l'incontro con Meg all'università, i viaggi in Palestina e Iraq, per poi allontanarsi definitivamente da eccessi e dipendenze con il matrimonio e la paternità. Trent'anni di storia con Napoli sullo sfondo che Persico ha voluto tratteggiare insieme alla Gazzetta:

Sveliamo subito perché questa autobiografia è definita «non autorizzata»

«Ho voluto provare a scherzare sul rapporto conflittuale tra Luca e O'Zulù: è stata una convivenza di alti e bassi, che solo dopo anni ha raggiunto un equilibrio. Luca ha accettato l'esistenza di Zulù perché ha cominciato ad assomigliargli, non è più simbolo di cose che Luca non voleva simboleggiare».

Da dove arriva l'esigenza di scrivere?

«È nato tutto durante la pandemia: ho compiuto 50 anni e avevo la necessità di mettere un punto, in un periodo di stress sommato a quell'interruzione di ogni attività senza prospettiva. Non trovavo più l'effetto curativo che lo scrivere una canzone ha su di me, allora ho cominciato a rileggere quello che avevo scritto nel corso della mia storia, e mi è venuta l'idea di selezionare un po' di materiale per costruire una sorta di testo unico che abbracciasse i tre decenni dal 1991 al 2021. Da lì è nato Vio-Lenti, uno spettacolo con cui ho girato il Paese e che mi ha consentito anche di tracciare i contorni della storia di quegli anni dal punto di vista sociale e politico. L'effetto sulla platea era importante, apriva gli occhi su passaggi che rischiavano di essere dimenticati, e allora ho preso il via e ho cominciato a scrivere».

La musica di oggi è ancora capace di lanciare dei messaggi?

«Sicuramente quello che cercavamo noi dall'ascolto di una canzone è diverso da ciò che cerca mio figlio Raul, ad esempio, che ha 12 anni. Sento una forte presenza di verità della vita, di dolore, sono contenuti pregni di quotidianità, tragedie, conquiste. La mia generazione prende di mira questo apparente parlar solo di soldi, vestiti, ma scavando in profondità si scopre che alcune di queste storie sono a lieto fine, di ragazzi che la musica ha salvato da strade ben peggiori. Poi non ci si può fare un'idea ascoltando cinque o sei cantanti: se non conosci tutti gli aspetti di qualcosa, non la puoi giudicare».

La paternità come l'ha cambiata?

«Ha funzionato come una messa a fuoco. Fino alla nascita di Raul mi sembrava di seguire un po' il vento, quando l'ho guardato negli occhi tutto è stato più chiaro, si sono messe in ordine le priorità. E poi ha sbloccato un fiume di ricordi e di parole, da quando c'è lui sono diventato sempre più prolifico».

Sullo sfondo c'è la sua Napoli, dolce e amara...

«Non ci vivo più da tanti anni, sono in montagna, vicino Avellino. È una città che vive di contraddizioni ma trova sempre il modo di rinascere. Oggi c'è una grave emergenza abitativa, dovuta anche all'incremento del turismo, insieme a problemi atavici come le armi che girano tra i giovani. Bisognerebbe affrontare tutto dal punto di vista culturale, l'offerta c'è, ma bisogna tenerla viva. Della città, però, ammiro questo riorganizzarsi sempre da sola, c'è una sensibilità innata da questo punto di vista».

Facendo un bilancio, anche degli anni con i 99 Posse, qual è la cosa che la rende più orgoglioso?

«Aver portato la pellaccia a casa tutti i giorni. Sembra assurdo, ma sono arrivato vivo e sano a 54 anni, e non era così scontato. Da ragazzino la società civile non aveva pensato a niente di bello per me, c'era un futuro prefabbricato per la mia generazione che ho provato a rifiutare con tutte le mie forze. E poi degli anni con il gruppo, non avevamo pretese musicali o di salire di livello: semplicemente la musica era il nostro strumento in quel contesto di militanza. Non siamo mai scesi a compromessi, mai deciso nulla a tavolino. Per Vocazione Rivoluzionaria si intende anche tutto questo».

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