«E poi mi trovi»: è quasi un invito il titolo del nuovo singolo del cantautore tarantino Emanuele Barbati insieme al collettivo L’Émancipation, uscito oggi per Scirocco Music/Audacia e distribuito da Ada Music. Un invito perché proprio questa sera debutta, in contemporanea, lo spettacolo Dipingerò l’infinito - Canzoni e racconti di artisti maledetti, incontro fra teatro e musica che vedrà sul palco Barbati e Antonio Anzilotti De Nitto, alle prese con vite e tormenti di Van Gogh e Modigliani. L’appuntamento è a Taranto (Spazioporto), per poi proseguire con date a Milano, Bologna, Pescara, Conversano (Ba), Sava (Ta).
Da dove arriva l'idea di questo brano che porta con sé la complessità della solitudine?
«Ho iniziato a scriverlo mentre ero a Parigi per studiare Modigliani, cercavo di raccontare i suoi amori travagliati. Mi sono reso conto che il brano conteneva un’esperienza che abbiamo vissuto tutti, quell’insoddisfazione di rapporti mediocri, amori illusori e la necessità ma anche la difficoltà di stare da soli pur di non stare con chiunque. D’altro canto, nonostante sia incentrato su questa solitudine che definisco attiva, il brano porta la speranza di trovare ed essere trovati da qualcuno, solitudine che lascia il posto all’incontro».
Che visione ha dei rapporti al giorni d’oggi?
«Spero di non apparire banale se dico che la solitudine è la compagna più intima di un artista. Ci fa stare in silenzio quando non abbiamo da dire qualcosa, mentre oggi tutti parlano, gridano, mostrano. Fa paura sentire quella voce, che spesso mettiamo a tacere, che chiede “chi sei? Cosa stai facendo della tua vita?”. Mi sembra che l’iperconnessione ci abbia tolto la percezione dell’assenza, non ci manca più nessuno perché di tutti vediamo qualcosa, non avvertiamo l’urgenza di stare con qualcuno in maniera profonda».
È registrato tra Parigi, Milano e Salento: che cosa ognuno di questi luoghi le ha regalato per l’occasione?
«Parigi è la città del cuore, un’incredibile fonte di ispirazione, pur essendo vicina all’Italia è profondamente diversa per ciò che riguarda la cultura. Il Salento è casa, affetti e radici, Milano è ancora, ma spero per poco, il centro della produzione musicale. Ha fondamenta basate sull’apparenza, fino a pochi anni fa mi piaceva starci, adesso ne vedo tutte le crepe».
Debutta con uno spettacolo che fonde musica e teatro: questa esigenza da dove viene?
«Grazie a uno spettacolo dell’attore in scena, Antonio Anzilotti De Nitto, Radici. L’ho visto e ho capito che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Le storie di Van Gogh e Modigliani le ho raccontate nelle canzoni, ma sentivo la necessità di farlo anche con i monologhi».
Nel collettivo L'émancipation c'è ugualmente tanta arte grafica: come è nata questa passione?
«Credo che a un certo punto la musica non mi sia bastata più, Parigi ha alimentato l’amore per le arti figurative tanto che non sarei convinto, da musicista, di preferire un concerto ad una mostra. Ho pensato quindi che un collettivo multidisciplinare ci avesse potuto dare strumenti in più».
Cosa la aspetta dopo il tour?
«Spero diventi molto più lungo e che insieme a esso possa uscire quanto prima il disco che gli fa da colonna sonora. Spero di incontrare molta gente, c’è proprio bisogno di vederla, sentirne le storie, raccontare le proprie. Modigliani diceva: “Il nostro unico dovere è di salvare il nostro sogno”.