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Paolo Fresu in Puglia: «Metto la mia musica anche al servizio della poesia»

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Paolo Fresu in Puglia: «Metto la mia musica anche al servizio della poesia»

Il trombettista domani a Fasano. Sabato e domenica sarà a Lecce

Giovedì 15 Febbraio 2024, 11:28

È un doppio impegno pugliese quello che attende il trombettista Paolo Fresu. Il sessantatreenne jazzista sardo sarà infatti domani al teatro Kennedy di Fasano con «Tempo di Chet», a capo del suo trio completato dal pianista siciliano Dino Rubino e dal contrabbassista salentino Marco Bardoscia; subito dopo questo concerto, che rientra nella stagione di Fasanomusica, il gruppo si arricchirà della presenza di Daniele Di Bonaventura al bandoneon per trasferirsi a Lecce dove, per conto dell’associazione Good Vibes, porterà in scena sabato 17 e domenica 18 a «Nasca Il Teatro» il suo progetto «Ferlinghetti».

Fresu, due tappe in Puglia con due formazioni in qualche modo complementari tra di loro, ma con due progetti diversi. Ce ne può parlare?

«Tempo di Chet è il mio primo spettacolo teatrale, dedicato alla figura di Chet Baker e allestito circa cinque anni fa. In origine era una produzione dello Stabile di Bolzano con otto attori e il mio trio. Abbiamo fatto due anni di tour con centoventi repliche, ma una volta finito, abbiamo deciso di continuare con la versione da concerto che ha girato in tutta Europa e anche oltre. “Ferlinghetti” invece ha visto la luce durante la pandemia. Il regista Ferdinando Vicentini Orgnani, col quale avevo già realizzato molti lavori, dal documentario su Ilaria Alpi a Vino Dentro, mi aveva chiesto di scrivere le musiche per The Beat Bomb, appunto dedicato a Lawrence Ferlinghetti, ma in quel periodo non si potevano fare riprese, mentre era possibile lavorare in studio di registrazione, così ho iniziatio a incidere quello che poi è diventato anche un disco per la Tuk, la mia etichetta. In quel caso però volevo un suono diverso e ho aggiunto Daniele Di Bonaventura col suo bandoneon».

Qual è il suo rapporto col cinema e come lavora quando scrive musica per lo schermo?

«Un rapporto stretto, di grande fascino. Credo che nessun musicista potrebbe dire di non esserne attratto. Quando però si scrive su commissione è tutto diverso, si deve uscire dal proprio binario tradizionale, perché la musica va a servizio di altro, a supporto di una storia e magari musiche scritte per un contesto narrativo vengono utilizzate diversamente. Ad esempio nel film su Ilaria Alpi avevo scritto un requiem per una precisa scena e invece è finito altrove. Con Vicentini Orgnani spesso scrivo prima che lui giri i film. Invece in Torneranno i prati, il film di Ermanno Olmi sulla Grande Guerra, scrissi il tema dominante e poi un altro tutto improvvisato, dove lui mi aveva dato una decina di parole che servissero da stimolo. Con ogni regista è diverso, ma la mia è comunque una modalità inusuale perché non scrivo per turnisti, ma porto sempre in studio i miei musicisti e la loro personalità entra nel modo in cui concepisco la musica».

Parliamo invece del suo rapporto con la poesia, la letteratura. Il suo primo disco s’intitolava «Ossi di Seppia» come la raccolta di Eugenio Montale. Qualche anno fa, invece, ha usato la penna non per scrivere note, ma versi, nel libro «Poesie jazz per cuori curiosi», edito da Rizzoli.

«Sono un accanito lettore e mi piace anche scrivere, pur non considerandomi né un poeta né uno scrittore. Amo mettere intorno alla musica tutte le forme artistiche e la poesia è suono che si connette facilmente con la musica, specie quella improvvisata».

Tornando a Lawrence Ferlinghetti, è stato una figura di primo piano della Beat Generation, un movimento importante per la vita culturale e sociale americana. Pensa che in un’epoca come la nostra, con scarsa memoria del passato e ideali in crisi, possano nascere nuovi movimenti artistici in grado di risvegliare le coscienze dal torpore?

«Io mi auguro che accada, è ciò che vogliamo tutti. Se venisse a mancare la voglia di costruire nuovi movimenti che parlino non solo del futuro, ma si portino appresso anche la consapevolezza del passato, la società sarebbe morta. Direi però che i movimenti creativi possiamo vederli anche nelle musiche di oggi, persino nei rapper oltre che nei nuovi poeti. Ferlinghetti l’ho paragonato a Roberto Roversi che ci ha lasciato anche delle grandi canzoni, oltretutto erano entrambi dei librai. E poi Ferlinghetti ha aiutato molto la Beat Generation a venire alla luce, ma a leggerlo oggi si può dire che avesse predetto ciò che sta accadendo, parlando di tematiche come la pace, la diversità, i consumi. Servono persone che offrano riflessioni sul presente».

Ci sono nuovi progetti in arrivo?

«A maggio presenterò una nuova produzione discografica che celebra i quarant’anni di attività del mio quintetto storico con Tino Tracanna, Roberto Cipelli, Attilio Zanchi ed Ettore Fioravanti. Poi c’è un altro progetto molto impegnativo, ma per ora non ne parlo».

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