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Un ritmo pugliese non convenzionale

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Un ritmo pugliese non convenzionale

La musica di Vittorino Curci e i titoli di alcuni brani ispirati ai termini coniati dal poeta tedesco Hugo Ball

Martedì 02 Gennaio 2024, 10:04

Mentre il suo antico sodale Pino Minafra non ha mai abbandonato lo spirito barricadero che ne ha scandito le imprese musicali, imponendosi una sorta di «prima linea permanente», il poeta e sassofonista nocese Vittorino Curci da tempo ha preferito vivere in modo apparentemente più defilato.

Ma come sanno bene quanti lo conoscono, non si è mai trattato di un ritiro dalle scene musicali creative, che egli stesso contribuì ad animare dalla metà degli Anni ‘80 con l’Europa Festival Jazz di Noci, quanto piuttosto dell’esigenza di slegare dalla quotidianità la ricerca, la sperimentazione sonora e talvolta persino linguistica, rendendola così libera di esprimersi nei momenti più favorevoli.

Non a caso, negli ultimi anni, Curci ha distillato con parsimonia incontri musicali e opere discografiche capaci di lasciare il segno, pur nella loro non sempre facile fruizione.

Musiche «non convenzionali», insomma, come quelle documentate dall’etichetta discografica «Setola di maiale» per i cui tipi è stato pubblicato l’album Braastabrà del gruppo de «I Paesani», un nome che la dice lunga su quella sorta di identità sopravvissuta al Festival di Noci, un po’ come la brace che continua ad ardere sotto la cenere. Ma questa formazione tutta pugliese - nella quale i sax di Curci si incrociano con quelli di Gianni Console, oltre che col flauto di Donato Console, la voce di Loredana Savino, il mandolino di Valerio Fusillo e il contrabbasso di Pierpaolo Martino – si aggiunge anche il batterista Gunter «Baby» Sommer, un vero e proprio pezzo di storia della musica creativa tedesca che giunse in Puglia per la prima volta, appunto a Noci, quando il suo Paese era ancora diviso in due dal Muro di Berlino.

Sarà però il caso di aggiungere qualche dettaglio in più sul disco e sul suo titolo, anche per supplire alle poche informazioni contenute sulla copertina, che si limita a indicare i nomi dei solisti. Braastabrà, come del resto Fratmatosma e Karawanw sono termini coniati dal poeta tedesco Hugo Ball (1886 – 1927), figura di primo piano del movimento dadaista e tra i fondatori del celebre Cabaret Voltaire, oltre che inventore di una lingua immaginaria la cui libertà sembra estendersi creativamente anche nel lessico musicale degli interpreti impegnati.

Ecco allora che i versi fantasiosi di Karawane, affidati alla recitazione di Sommer, si fondono nei brani successivi con lontani echi del dialetto pugliese, le cui parole vengono qua e là sussurrate dalla Savino in una curiosa forma di sperimentazione linguistica.

Il vocabolario sonoro prescelto è ampio e fantasioso, sempre pronto ad aprirsi in ritmi danzanti ed echi di festa di piazza, senza escludere momenti di maggiore radicalismo, gravidi di una lezione europea le cui influenze sono ancora vibranti, oltre che evidenti. Quadri ora di ampio respiro, come nel caso di Framatosma, Fasius o Domniazze, ora invece molto più misurati, come accade ad esempio con Makuma o Fail, la cui breve durata non appare mai un limite, ma piuttosto una risorsa.

Un disco di nicchia, senza dubbio, ma a suo modo anche la testimonianza di una stagione senza la quale la Puglia sarebbe culturalmente molto più povera. E che è doveroso preservare dall’oblio per consegnarla alle nuove generazioni artistiche.

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