Strumento fra i più completi e versatili, da qualche tempo il pianoforte ha il ruolo di raccontare le nostre città con iniziative che, sforzandosi di abbracciare il maggior numero di linguaggi possibili, propongono la musica tanto nei luoghi cosiddetti «deputati», quanto in altri decisamente più inusuali, favorendo la conoscenza del territorio sia da parte dei residenti, sia dei turisti che visitano la Puglia e la Basilicata nella bella stagione. A titolo puramente esemplificativo – affinché nessuno si senta penalizzato – vanno ricordati alcuni dei tanti cartelloni pianistici che seguono questa linea organizzativa a cominciare da «Piano Lab», l’iniziativa promossa da «La Ghironda» che ormai non si limita alla sola Martina Franca, ma abbraccia più comuni spingendosi fino a Matera secondo l’idea di un «festival condiviso» della durata, sia pure cadenzata, di circa due mesi.
Con la sua collocazione di fine agosto, il Bari Piano Festival ha consentito al direttore artistico Emanuele Arciuli la possibilità di far finalmente fruttare le sue prestigiose relazioni internazionali, proponendo nel capoluogo interpreti e repertori che diversamente non sarebbero mai arrivati dalle nostre parti. E su questa lunghezza d’onda si è ben inserita anche Lecce che ha messo a propria disposizione i propri «gioielli di famiglia», i più e i meno noti, accanto a luoghi inusuali come autobus e ospedali, per ospitare l’intenso programma del weekend di Piano City, allestito quest’anno dal presidente Alessandro Maria Polito con il direttore artistico Andrea Mariano e il comitato scientifico presieduto da Giacomo Fronzi.
In tutti i casi, i concerti – quelli con ingresso libero e quelli con la prenotazione obbligatoria – hanno riscosso un grande successo, anche quando, anziché interpreti dalla consolidata reputazione, proponevano giovani solisti, se non addirittura in erba e questo deve incoraggiare tutti gli organizzatori, insieme con le amministrazioni che li sostengono, a proseguire sulla strada intrapresa. Il che, però, non significa che il pubblico non debba fare la propria parte, possibilmente continuando a seguire la musica e a sostenerla, anche quando, durante i mesi freddi, i concerti – da chiunque organizzati – si trasferiscono nei teatri e diventano a pagamento.
Perché anche se ormai sono sempre più lontani gli anni della cosiddetta contestazione - quelli dello slogan «la musica si ascolta e non si paga» - e parte degli attuali organizzatori non ha nemmeno l’età per ricordarli, se tornassimo a stabilire l’equazione «piazze piene, teatri vuoti», avremmo disperso al vento questa meravigliosa semina culturale e dovremmo concludere che i sold out gratuiti degli ultimi tempi sono frutto più di un fenomeno sociale che non di un desiderio di arricchimento. In altre parole, la musica proposta gratuitamente può e deve essere un pungolo per stimolare una fruizione culturale consapevole che poi sappia abbracciare anche l’ascolto a pagamento nei teatri, l’acquisto di dischi, libri e persino dei tanto bistrattati giornali.
Il tutto per favorire anche un ricambio generazionale in un pubblico che diventa sempre più attempato. La posta in gioco non è solo l’amore per l’arte dei suoni, ma anche la qualità della vita e la riqualificazione dei luoghi delle città che la musica può favorire. E anche per questo, è proprio il caso di dire che ci vuole… un piano.