Miles Davis arrivò a Bari il 2 luglio del 1986. Il suo concerto, in programma in programma per l’indomani allo Stadio della Vittoria, non ancora ribattezzato «Arena» sarebbe stata la prima europea del tour, oltre che l’evento clou delle Notti di Stelle della Camerata e, per molti versi, una pagina indimenticabile per Bari.
Il grande trombettista era il tormento di tutti gli organizzatori e viaggiava con un vero e proprio seguito regale, preceduto da contratti nei quali nessun dettaglio veniva tralasciato, nemmeno la marca dell’acqua minerale e la temperatura alla quale dovesse essere servita. E il concerto barese era stato preceduto da una lunga serie di trattative... notturne partite già durante l’inverno. Il cachet di Davis infatti si aggirava intorno ai 40 milioni di lire (oggi 20mila euro farebbero meno paura...) e per molti si trattava di una somma veramente proibitiva. A sponsorizzare la manifestazione intervenne però il Comune che, grazie all’assessore alla Cultura Tommaso Masiello, garantì un importante sostegno finanziario che, alla fine, convinse i riluttanti dirigenti della Camerata (per la prima volta alle prese con un artista così costoso e capriccioso) a buttarsi nell’impresa. Giusto a titolo di curiosità, fra le richieste del management c’era una limousine con autista sempre a disposizione dell’artista, la minuziosa indicazione del numero e del tipo di asciugamani – rigorosamente bianchi – da fornire sul palco nei camerini, l’elenco delle pietanze e delle bevande da servire in camera e nel backstage allo stadio e altri dettagli che per l’epoca sembravano, almeno a Bari, molto stravaganti.
Con tutte queste premesse e con la fama di burbero irascibile che da sempre lo accompagnava, il giorno in cui era previsto l’arrivo di Davis il nervosismo si tagliava a fette, ma sebbene stanco e provato dal jet lag, il Davis che giunse a Bari si rivelò presto un’altra persona, socievole, disponibile, persino affettuoso.
Comunque sia, il suo concerto, attesissimo, attirò al campo sportivo svariate migliaia di fans provenienti da tutta l’Italia meridionale e anche questo fu decisamente un evento per Bari. Davis era tornato a suonare da pochi anni, dopo il lungo ritiro dalle scene e i suoi concerti erano sempre degli eventi che creavano attese febbrili persino nei grandi festival, dove artisti del suo livello erano in un certo senso all’ordine del giorno. In molti, oltretutto, gli avevano perdonato il presunto «tradimento» della svolta elettrica verificatasi nel 1969 con l’album Bitches Brew, cosicché anche quanti ne rimpiangevani gli album degli Anni ‘50 avevano ripreso a seguirlo con interesse.
Così fu anche in quella notte barese, quando Davis apparve sul palcoscenico con un luccicante completo color oro: non appena accostò le labbra alla sua tromba vermiglia, ci fu un attimo di silenzio, seguito da un boato del pubblico. Era l’inizio di una notte bollente, scandita dal suo nuovo repertorio, quello tratto da album come Decoy, Star People e soprattutto da You’re Under Arrest, con i momenti più lirici e ispirati toccati nelle interpretazioni di Human Nature e Time After Time. Con lui, in gran spolvero, una band che trovava le sue principali voci solistiche nel sax di Bob Berg e nella chitarra di Robben Ford.
Due ore di musica intensa, fremente prima che il trombettista, vero Prince of darkness, sparisse nella notte barese, per poi rimaterializzarsi sul pontile del Circolo della Vela, dove inaspettatamente accettò di intervenire a una cena in suo onore, sotto gli occhi increduli degli inviati dei principali quotidiani italiani. Per loro, che ne conoscevano bene la misantropia, fu proprio una cosa dell’altro mondo.