Il tempio di San Domenico Maggiore, nella città vecchia di Taranto, ha contenuto a stento le centinaia di persone, tra parenti, amici e colleghi, che questo pomeriggio, hanno preso parte al funerale di Angelo Raffaele Fuggiano, il 28enne operaio della ditta Ferplast dell’appalto Ilva, morto giovedì scorso in un incidente sul lavoro nel reparto Ima (Impianti marittimi), colpito alla schiena dalla carrucola di una fune d’acciaio.
Durante la messa, celebrata da mons. Alessandro Greco, vicario generale della Diocesi, è stato letto un messaggio dell’arcivescovo Filippo Santoro, impegnato all’assemblea generale della Cei. «In questi giorni - ha sottolineato il presule - tutti parlano dell’Ilva, in Italia e all’estero, ma vorrei che ogni discorso ripartisse da qui, da questa Pietà tutta tarantina, per rendere giustizia ad Angelo e a tutte le vittime del lavoro, per comprendere la sofferenza di una città che ha bisogno di certezze, che ha diritto alla vita. Invoco la benedizione di Gesù Buon Pastore su Angelo perché sia accolto dall’amore misericordioso del Padre».
Angelo Fuggiano lascia la compagna Celeste e due figli piccoli: una bambino di 5 anni e una bambina di 3.
Al rito funebre c'erano le autorità (il prefetto, il questore, il comandante dei carabinieri), il sindaco Rinaldo Melucci e alcuni assessori, esponenti politici di vari schieramenti rappresentanti sindacali e operai del Siderurgico e delle ditte d’appalto, come la Ferplast.
«La celebrazione che avviene - ha detto ancora nel suo messaggio mons. Santoro - nella Chiesa di san Domenico, lì dove è venerato il simulacro della Vergine Addolorata, la Madonna del popolo della Città dei Due Mari, ci richiama al di là di qualsiasi parola fuori posto, la dura realtà del dolore e della perdita. La presenza della Madre di Gesù trafitta dalla visione del Figlio suo morto sulla croce, colma ogni interpretazione e ci fa sentire uniti gli uni agli altri in un ecumenismo delle lacrime, che è difficile da spiegare, ma che imprime di per sé il moto del pellegrinaggio, del dolore sì ma non della rassegnazione, della verità della morte ma non della sua vittoria definitiva. Il Cristo che viene disprezzato, umiliato, ingiustamente condannato, che muore innocente, trova un’oasi di umanità e di affetto nello sguardo di sua madre ai piedi della croce».
«Oggi cerchiamo tutti insieme - ha puntualizzato mons. Santoro - quello sguardo, che ci ricorda che siamo Figli di Dio e quindi tutti figli degni e di pari dignità. Qui Angelo è accolto sulle ginocchia della Vergine Addolorata, a lei chiediamo il lume della fede e della speranza, che quel che oggi ci è tolto dal mondo, un giorno, ci sarà restituito da Dio».